Raccogliendo quel pugno di sale

M’è capitato di raccontare questo aneddoto già in diverse occasioni. Una volta, un anziano delle mie parti mi spiegò il concetto di fondo della fiducia. “Prendi un pugno di sale – disse – e tiralo in aria. È facile, vero? Possono riuscirci tutti. Bene; ora prova a raccoglierlo”.

Perché lo ricordo adesso? Perché pensavo alle distanze che sembrano aprirsi, e in parte si aprono davvero, fra i movimenti che si organizzano nella società per dire la loro su temi e argomenti che sono (erano?) di sinistra, e quella che è (era?) la rappresentanza politica istituzionalizzata di queste istanze. E mi sembra di vedere concreto il rischio, per chi l’ha sprecato, di non poter più raccogliere quel pugno di sale della fiducia lanciato in aria.

Penso alla “coalizione sociale” messa in piedi da Fiom e altri, certo, a quanti hanno riempito la piazza delle Unions ieri a Roma, ovvio, ma anche a tutti quelli che, da soli oppure organizzati, ogni giorno si sentono, e sono, sempre più marginalizzati, messi da parte, ignorati, e per questo tentano altre e originali strade per trovare propri spazi e soluzioni.

E poi, come dire, alle volte le cose sono anche più radicali e difficilmente componibili rispetto a quelle che immaginano, o a come le vedono, quanti della pratica mediatoria fanno fine e non mezzo. Non si può stare, per fare solo un esempio, con quelli che danno continuamente fiducia al Governo ma anche contro le politiche che questo, continuamente, pone in campo. Perché le due cose non si tengono più insieme: ne va della logica, e pure della serietà di tutte le posizioni in campo. Da una parte, perché non è pensabile che si avversino delle azioni politiche su questioni di fondo con un atteggiamento da “va be’, fa niente, vi votiamo ugualmente”. Dall’altra, perché non è immaginabile che si esprima il proprio consenso a delle misure o a particolari riforme invocando una sorta di “sindrome di Norimberga”, del genere “io eseguivo solo le indicazioni della maggioranza del mio partito”, o ancora, e peggio, le si voti non credendoci, così, giusto per vedere l’effetto che fanno.

Per questo motivo quei due cammini si allontano. E pertanto, coloro che sempre più si mobilitano contro le politiche che vengono messe in campo dall’Esecutivo e dalla maggioranza che lo sostiene, hanno sempre meno fiducia in chi milita nei partiti che di quella maggioranza sono parte o ambiscono a esserlo: semplicemente, perché loro quelle scelte le contestano, gli altri le approvano.

No, i tanti che si allontanano e si oppongono non stanno tradendo; si sentono traditi. E perciò guardano ai movimenti che nascono, sebbene con le loro “lingue a volte gridate, a volte mozze, a volte acerbe” (a proposito, auguri per domani e i tuoi primi cent’anni, compagno Pietro), purché sia lontano e dall’altro lato rispetto a quelli che hanno smesso di rappresentarli, decidendo di stare da un’altra parte, di schierarsi nell’altro campo della contesa sociale ed economica.

Non si fidano, e non hanno tutti i torti. Le parole che erano comuni fra loro e chi decide, oggi da questi ultimi vengono disconosciute. E siccome ogni cosa lanciata in aria torna in basso, là si cerca di raccogliere quel sale disperso. Sapendo che, la prossima volta, non lo si darà più a chi l’ha così dissipato.

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