La vittoria e il vuoto

Domenica, su la Repubblica, Goffredo De Marchis riferiva di un premier che, contro gli attacchi di Salvini e della sua piazza che sempre più sostituisce improbabili matrimoni celtici con fosche croci celtiche, indicava quale risposta adeguata l’unità del Pd. Lunedì, sullo stesso giornale, una valutazione simile l’ha fatta Roberto Speranza. Il capogruppo alla Camera del partito guidato da Renzi ha anche aggiunto che, nelle metter in campo le azioni adeguate a limitare il pericolo della destra populista e xenofoba, bisogna coinvolgere tutte le forze democratiche.

Una tesi giusta, per carità, e una preoccupazione non da poco quella che esprimono le parole dirette o riportate di Renzi e Speranza. Che però ha un forte ed evidentissimo “ma”. Un dubbio che riguarda, da un lato, la reale forza della eventuale minaccia, dall’altro, la concreta eventualità di trovare altri alleati da unire in un fronte comune contro quelle potenzialmente pericolose derive.

Perché, facendo un piccolo passo indietro, fino a qualche giorno fa, dalle stesse parti da cui ora arrivano segnali di preoccupazione, trasparivano immagini di sicurezza e granitica superiorità: “mentre altri si dividono”, si diceva, “noi dobbiamo riportare l’Italia a crescere”. Toni giustamente soddisfatti nel commentare le altrui frammentazioni, dal Veneto alla Puglia? E poi, la proposta della piazza salviniana è così spaventosa che rischia di non far paura a nessuno: svincolo dall’Ue, respingimento dei migranti e chiusura delle frontiere, totale ed esclusiva sovranità nazionale; sinceramente, sono parole troppo forti, forse anche per chi le dice.

Elevare la compagine vista sabato in Piazza del Popolo a spauracchio è un gioco che  rischia di non funzionare, se non addirittura di essere controproducente. Come dire: la maggioranza ha per mesi spiegato che su simili piattaforme i suoi avversari non sarebbero andati da nessuna parte, adesso gli stessi vorrebbero usare quella minaccia come collante?

Infine, c’è un’altra domanda a cui difficilmente Speranza e Renzi potrebbero rispondere con esaustività e in modo convincente: uniti a chi? Alla sua destra, il Pd da tempo ha già inglobato e si è alleato fin dove poteva. Alla sinistra, quando non è riuscito ad annettere singoli protagonisti o interi gruppi politici, ha rottamato e asfaltato tutto e tutti. I vecchi arnesi della tradizione socialdemocratica, i sindacati, coloro che sempre si sono battuti per i diritti dei lavoratori e quanti pensavano che la politica fosse partecipazione e adesione sulla base di comuni e radicati ideali, e non professionalità e scaltrezza nell’unico inseguimento del risultato e della vittoria come fine; ogni cosa è stata sepolta dall’impetuosa e gloriosa avanzata del principe trionfatore, fra cori acclamanti di renziani ortodossi e renzisti convertiti, già usi a incensar chi c’era prima e pronti a farlo con quanti verranno dopo.

Potrà sembrare strano che lo dica proprio io, che spesso metto l’indice nelle debolezze della narrazione che il potere attuale fa di sé, però Renzi e il suo Pd hanno vinto su tutta la linea e l’hanno fatto a modo loro, senza fare prigionieri. È proprio per questo che ora, per altre tenzoni, rischia di non esserci più nessuno con cui unirsi.

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