Il problema è politico

Le primarie del Pd in Liguria non sono solamente una questione legata a equilibri locali, a presunte o confermate irregolarità, a decisioni spregiudicate di un candidato o di un gruppo di potere troppo consolidato nelle sue postazioni. Sono un problema politico, che rischia di rimanere sul tappeto e purtroppo ignorato da quanti parlano delle biografie dei protagonisti, piuttosto che dei temi che dalle vicende in cui lo sono emergono.

Come può, a prescindere dall’esito delle consultazioni fra gli iscritti e i militanti e della loro organizzazione e gestione, uno stesso partito contenere al suo interno la volontà precisa di un’alleanza programmatica con la sinistra rappresentata da Sel e la praticabilità diffusa di un accordo di governo con il Nuovo centro destra? Cioè, Vendola o Alfano per i democratici pari sono? E qual è la natura di quel partito, più simile al primo o più consona al secondo?

Gli argomenti che Sinistra ecologia e libertà sceglie come propri, dalla centralità della difesa del lavoro e delle sue tutele a quello dei diritti civili e di cittadinanza, passando per le tematiche ambientali, sono l’esatto contrario di quello che l’Ncd erge a propria bandiera, dalla cancellazione dell’articolo 18 per fare della libertà d’impresa l’unico motore e valore dell’economia fino alla tutela della “famiglia tradizionale” contro altre forme di unione da esso non riconosciute quali legittime, senza dimenticare la previsione di piani espansivi di edilizia e infrastrutturazione fondati sul cemento e sull’acciaio.

Perché il discorso sulle alleanze è anche, se non specificamente, il discorso sull’identità di un soggetto politico. Proprio perché spesso quelle alleanze disegnano scenari non solamente differenti, ma del tutto contrapposti e divergenti: o si va di qua o di là, o a destra o a sinistra. E non può essere che uno stesso individuo accetti con medesima approvazione l’una o l’altra soluzione. Così come non può accadere che a far questo sia un partito, che se è tale, appunto, deve stare da una parte e muoversi verso quella: di nuovo, o si va di qua o di là, o a destra o a sinistra.

Per questo motivo, discutere di Cofferati e Paita, stranieri pagati per recarsi ai seggi o infiltrazioni di altri soggetti esterni alle dinamiche del Pd rischia di essere, per quanto opportuno e doveroso, fuorviante. Come possono quelli che sostengono che bisogna essere alleati di Sel, poi accettare un governo in cui il Nuovo centro destra sia presente e determinante? E, viceversa, chi pensa che quella con l’Ncd sia una soluzione possibile e perseguibile, tanto da essere praticata a livello nazionale (e, con la scusa delle elezioni di secondo livello, anche provinciale e metropolitano nella maggioranza dei contesti) dal 2011 e fino al 2018, come può accettare la convivenza con le posizioni politiche espresse da Sinistra ecologia e libertà? E ancora, in questa dialettica oppositiva, qual è la strada che traccia e sulla quale si forma il senso identitario del Partito democratico?

Perché il rischio, se non già la realtà, è che il Pd diventi davvero quel catoblepa figlio di un inestricabile viluppo fra organizzazione partitica, Stato centrale e istituzioni periferiche, senza possibilità di soluzione, e in cui l’unico e unificante valore sia costituito dal governo per il governo, dall’amministrazione per l’amministrazione, fine e principio di tutto l’agire politico inteso come raggiungimento (conquista? presa?) di questi, al di là e prima dei princìpi, dei valori, delle idee.

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