Fra “nominati” e “permeati”, sto a casa

Le inchieste della procura di Roma sui rapporti fra malavita organizzata e politica hanno convinto Renzi a commissariare il Pd capitolino con il presidente dell’assemblea nazionale dei democratici Matteo Orfini. A proposito del quadro che emerge dalle carte giudiziarie, il neo commissario ha parlato di “una vicenda agghiacciante per il sistema criminale e le responsabilità della politica, dalla quale emerge un partito cittadino da rifondare e ricostruire su basi nuove”.

E fin qui sono d’accordo. Ma poi, sempre Orfini, ha anche esortato a fare “una riflessione di sistema su primarie e preferenze, che rendono la selezione dei dirigenti più permeabile”. In linea di principio, non fa una grinza: la ricerca del consenso può generare quei fenomeni, e la caccia ai portatori di quel consenso, ancora di più. Le preferenze determinano, da sempre, la nascita di veri e propri comitati elettorali permanenti, favoriti anche dalle disponibilità istituzionali di chi ne fa parte (ricordate il partito degli assessori?). Le primarie, molto spesso, non sono altro che la sussunzione di quei meccanismi a livello di selezione della classe dirigente e dei candidati. Ma l’alternativa qual è?

Perché quei procedimenti selettivi, oltre a essere permeabili, sono pure democratici. E lo so che ultimamente pare essere un dettaglio, ma è un dettaglio a cui alcuni potrebbero essere, come dire, affezionati. Se non si usano quelli, come si fa a scegliere la classe dirigente? Come si selezionano i rappresentanti dei cittadini nelle istituzioni? Ma soprattutto, chi decide?

Non vorrei che la soluzione fosse quella di un ceto dominante che sceglie se stesso, una élite che si rigenera nella selezione, una classe al potere che decide, quasi con investitura cavalleresca, chi la sostituirà: insomma, che l’antidoto ai “permeati” fossero i “nominati”. Per carità, potrebbe essere una soluzione, anche se, è bene ricordare, che sì, in consiglio comunale si viene eletti, ma solo dopo che qualcuno ti ha candidato, e per arrivare in giunta i voti raccolti non bastano, serve una specifica indicazione, così come per arrivare a presiedere quello stesso consiglio.

Sarebbe un po’ triste, per non dir di peggio, che la degenerazione a cui la politica non ha saputo porre freno e rimedio prima che la magistratura incominciasse a occuparsene, diventasse l’alibi perfetto per politici interessati a togliere anche quel po’ di potere selettivo e di giudizio rimasto nelle mani degli elettori.

Se l’unica possibilità per evitare il rischio di consentire a gente senza scrupoli di raccogliere voti a sostegno di candidati a libro paga dei criminali e a disposizione per i relativi peggiori istinti dovesse essere rappresentata nella rinuncia a qualsiasi strumento di selezione partecipata, francamente, rinuncerei a partecipare.

Dopotutto, scusate, ma per quale motivo l’ultimo dei cafoni dovrebbe prender parte alle procedure selettive interne di quella che, a quel punto, sarebbe l’oligarchia al comando? Per essere conteggiato fra i buoni e osservanti cittadini diligenti? Divenire, malgré lui, garanzia della democraticità dell’organizzazione sociale?

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