Quasi a dire: “così imparate”

“Io”, dice con una pausa dopo il pronome, a sottolinearne l’importanza,  “ho preso il 41% non per fare qualche intervista sui tg, ma per cambiare l’Italia davvero”. Le dichiarazioni di Renzi, ieri, al Tg2 sono quanto di più esplicito si possa immaginare in un discorso politico; affermano, in pratica: decido “io” perché ho vinto.

Ora, che andasse a finire così, un po’ me l’aspettavo (e l’avevo anche scritto qui: Ha vinto lui); ma che fosse tanto esplicito, francamente, non me lo immaginavo. Come non pensavo che, servendogli i voti di tutti quelli che sono in Parlamento fra le fila del suo partito, ed essendo questi anche di riti diversi dal suo, aggredisse frontalmente, come ha fatto in una inviata a tutti gli iscritti del Pd, proprio la storia da cui molti di questi provengono e le persone stesse che hanno consentito il loro essere parlamentari.

Evidentemente, Renzi è fatto così e, con altrettanta evidenza, conta anche sul fatto che la riconoscenza e la linearità con quanto si sosteneva appena ieri, non siano virtù e pratiche usuali fra i suoi gruppi alla Camera e al Senato. Quindi, va giù duro, con un per nulla inedito “o con me o contro di me”, e un manicheismo dozzinale che divide di qua “i buoni per il giusto cambiamento”, di là “i cattivi che vogliono fermarlo”.

Ma è la tesi del 41% letto come viatico onnicomprensivo la più curiosa. In pratica, il presidente del Consiglio sostiene che quei voti gli dicono di cambiare la Costituzione nei modi in cui sta facendo, di stravolgere il mercato del lavoro riducendo i diritti come vuole fare, di andare avanti sulle politiche che piacciono tanto a Sacconi e Alfano, a Lupi e anche a Berlusconi, in tema di infrastrutture, politiche per la casa (a proposito dei diritti per chi non li ha), interventi nel sociale e rapporti con i sindacati.

Insomma, è come se dicesse a quelli che hanno votato Pd lo scorso 25 maggio, pensando di eleggere solo il Parlamento europeo:  “così imparate”. Imparate a votare il mio partito se non condividete ogni cosa che “io” dico, imparate a sostenere i miei candidati se non volete che faccia le cose che penso, imparate a preferire le mie liste se non siete d’accordo su ogni singola parola del mio programma di governo.

Parte da un fraintendimento del concetto di democrazia, che non è l’investitura del governante, ma la partecipazione dei governati alla gestione della cosa pubblica, ma arriva a delle conclusioni chiare e chiarificatrici: “se mi votate, poi non lamentatevi di come sono fatto e di cosa voglio fare”.

E qui la questione si fa interessante, soprattutto per quelli che vogliono contestarlo e contrastarlo dall’interno e che rischiano di fare la fine dei criceti impegnati a superare la ruota correndo. Se si sta con lui e con lui a capo, lui fa quello che vuole fare. Ne consegue che, se si vogliono fare cose diverse, si devono intraprendere strade differenti.

Non credo, però, che basti creare un altro soggetto politico a sinistra per risolvere la questione, se poi l’approdo di questo sarebbe comunque un’alleanza col PdR, il partito di Renzi, che veda ancora lui come dominus assoluto. Se ha interpretato il voto per la scelta dei rappresentanti a Bruxelles quale licenza assoluta per la sua azione, come credete che leggerà un voto politico per il Governo nazionale dato al partito o alla coalizione che si trovasse a guidare? Davvero si crede, in quel caso, di poterlo portare a più miti consigli di adesso, dove si trova a governare con una maggioranza eterogenea e con candidati del suo partito non scelti da lui? O si pensa di poterlo suffragare ancora e copiosamente, e poi fingersi stupiti di scoprire che Renzi pensa e agisce da Renzi?

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