La banalità dell’assenso

“Speriamo che non ci sia ostruzionismo da parte di Sel e M5S”, dice la ministra per le riforme Maria Elena Boschi. Che tradotto, e in considerazione dei numeri in Parlamento, tali anche per gli effetti di una legge elettorale giudicata incostituzionale dalla Consulta, significa chiedere che l’opposizione non si opponga.

Cosa dovrebbero fare, per il ministro, le minoranze? Votare sul testo senza frapporre emendamenti, consegnandosi così a una perdente battaglia testimoniale già al primo voto, viste, sulla carta, le forze della santa alleanza riformista? Abbandonare l’aula, ricercando un Aventino da gestire in comproprietà? O votare anch’essi, compattamente, l’unica riforma possibile, quella della maggioranza, appunto?

Perché, e sto parlando in generale, non del caso specifico, c’è anche chi si oppone a qualcosa perché crede fermamente che quel qualcosa sia sbagliato e, per quella sua convinzione, cerca di fare quanto in suo potere perché non accada. Che so, tipo che Letta rimanga un minuto in più a Palazzo Chigi dopo la vittoria di Renzi alle primarie o che Marini diventi presidente della Repubblica, per dire.

O per esempio, per tornare al tema delle riforme, che quella del Senato e l’Italicum disegnino un combinato disposto per cui, “la sera delle elezioni”, il capo del Governo sappia già di poter contare su una maggioranza alla Camera, fatta di deputati già precedentemente nominati attraverso le liste bloccate, sufficiente per trasformare in legge ogni suo provvedimento senza battere ciglio e numeri idonei, con appena un quarto dei non eletti consiglieri-senatori, per sceglersi, seppur solo alla nona votazione, il capo dello Stato e, quindi, determinare le dinamiche e i rapporti di forza negli organi di garanzia, Csm e Corte Costituzionale per primi.

Ci può essere chi, come me, di un sistema in cui chi vince prenda tutto, dal potere esecutivo a quello legislativo fino al controllo su quello giudiziario (Montesquieu, sit tibi terra levis), averebbe un po’ paura. E non perché temo la svolta autoritaria di Matteo, Renzi, ma perché mi preoccupa il caso in cui a vincere le elezioni sia uno come Matteo, Salvini.

Esagero? Forse sì. D’altronde, non è mai accaduto che in questo Paese abbia preso più del 37% un candidato con evidenti conflitti di interesse, amicizie pericolose, all’estero e in patria, e capace di far senatori i suoi avvocati, per disegnare meglio le leggi per sé, o deputati i suoi questuanti, in modo da non aver problemi ad approvarle.

Però, dinnanzi a questioni di merito sulle riforme, si urla ai tifosi della palude, ai gufi, ai rosiconi, ai nemici del cambiamento. E se ne banalizza il dissenso, dicendo che non è opposizione ma deleterio ostruzionismo, fatto per voglia di visibilità o a tutela delle proprie indennità.

Mai una volta che si entri nel merito delle critiche, mai una volta che si ricordi che quelle paure erano le paure di tutti quando, nel 2006, si votò contro la riforma della Costituzione messa in atto dal centro destra, mai una volta che si ponga l’attenzione sul fatto che, con quel sistema, il potere esecutivo sarebbe predominante e determinante sui e dei poteri legislativo e giudiziario, e la più forte delle minoranze (tale sarebbe una forza che prendesse il 37% che, con i livelli di astensione attuali, non andrebbe oltre il 20-25% degli aventi diritto), prenderebbe così il controllo di tutti e tre gli architravi delle articolazioni dello Stato.

Chi ricorda che le nostre parole chiave erano altre, viene tacciato di essere un vecchio arnese legato al passato e contrario al nuovo corso. Coloro che provano a evidenziare che se i problemi dell’Italia si risolvono solo cambiando il bicameralismo e che ciò non potrà avvenire se non alla fine di questa legislatura, cioè nel 2018, allora quanti per quei problemi soffrono han tempo a morire, e non è un modo di dire, vengono dipinti quali uccelli del malaugurio. Quelli che dicono di essere contro il pactum sceleris siglato col condannato e il Governo fatto con gli ex amici dello stesso, viene additato a menagramo e velleitario, perché a quello e a questo non ci sono alternative (e però, quella del non “non ci sono alternative” e delle larghe intese, è una storia che va avanti dal 2011 e punta al 2018, un tempo troppo lungo per essere ancora definita eccezionale, soprattutto se si considera che uno schema simile sottende anche al voto per Juncker nel Parlamento europeo).

In tutti i casi, contro il dissenso è usata l’arma della ridicolizzazione, della stigmatizzazione  burlesca, quando non direttamente dello sfottò. E se, invece, banali fossero le ragioni e le motivazioni dell’assenso?

No, dico, perché potrebbe essere che interessato sia chi, da antirenziano militante, ora s’è tramutato in renzista ortodosso. Interessato, ad esempio, a uno dei posti sicuri e bloccati nelle liste del nuovo sistema elettorale che somiglia tanto al vecchio.

O semplicemente, ci potrebbe essere qualcuno, magari una renziana della prima ora, interessata a difendere le condizioni che gli han consentito di passare dalla guida della fondazione di un leader a quella, per conto dello stesso, del processo di manomissione della Carta fondante del comune stare insieme, sostenuta, per la meritevole impresa e nella meritata competenza, dalla fondata argomentazione del “largo ai giovani” (qualità, quella della giovinezza, ahimè, transeunta e, terribilmente, già usata in altre stagioni).

Oppure, ancora, potrebbero essere interessati a che l’attuale Governo duri il più a lungo possibile, e con lui la legislatura e il relativo indennizzo, un po’ tutti quelli che alla fine dello stesso collegano giorni di caos e notti da tregenda, ma soprattutto le elezioni anticipate.

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