Assuefatti

“La memoria non è altro che assuefazione”, scriveva Leopardi nello Zibaldone. Pippo Civati, commentando il libro di Enrico Deaglio Indagine sul ventennio e interrogandosi proprio sul significato del ventennio berlusconiano per la generazione di quelli che erano ancora al liceo al tempo della “discesa in campo” con tanto di fotoromanzo di famiglia e musichetta di sottofondo, chiede: “voi, la sera del 27 marzo del 1994, dov’eravate?”.

Io penso che questi vent’anni abbiano scavato un solco così profondo e tale da segnare un prima e un dopo rispetto a questa seconda, e peggiore, mutazione antropologica. E non solamente per chi in quelli è cresciuto e si è formato, ma anche per tutti gli altri.

Ecco, per usare le parole del Recanatese, ci siamo assuefatti. Tanto che oggi è normale sentir dire da un esponente d’un partito che si professa socialista, vista l’adesione al Pse, che bisogna essere veloci e che il confronto con le parti sociali non è necessario. Oggi è possibile che i dirigenti di quel partito si commuovano guardando un film su Berlinguer, e poi non s’interroghino minimamente sull’opportunità “morale” di nominare ministri, vice e sottosegretari indagati. Oggi è possibile vaneggiare sull’autonomia del Parlamento e sul primato della politica, mentre s’abusa dei decreti e si pone la fiducia anche su provvedimenti che cambiano l’architettura istituzionale dello Stato.

Sì, siamo assuefatti. Per questo, come giustamente nota Civati nello stesso post, nessuno s’è ribellato più di tanto in questi anni. E nessuno lo farà, temo. Così assuefatti che il segretario del partito che dovrebbe essere l’erede di quelli che furono all’opposizione dello schema di quel ventennio, accoglie il senso e il significato più profondo, facendolo proprio, del cambiamento che in quegli anni s’è voluto realizzare, e che prese forma nella proposta di modifica costituzionale respinta con referendum nel 2006.

Il presidenzialismo disegnato dagli improbabili costituzionalisti della baita di Lorenzago, viene accolto nel veloce incedere delle riforme prêt-à-porter che vengono presentate nelle direzioni di partito e nelle aule parlamentari, compreso il super-premier con tanto di corsia preferenziale per l’approvazione dei suoi provvedimenti e la possibilità, per il presidente del Consiglio, di nominare e revocare i ministri (almeno a leggere le anticipazioni de La Repubblica di oggi). Io, su quello e su altro, la penso come la pensavo nel 2006 (e come scrivevo qui qui); ma tutti gli altri? Sarebbe un po’ triste scoprire che il mio voto è servito ad approvare quello che, in quel referendum, col mio voto contribuii a respingere.

A meno che l’eredità di quelli che allo schema del ventennio trascorso avrebbero dovuto fare opposizione non fosse proprio questa. E ciò, dopotutto, spiegherebbe anche perché quel ventennio sia trascorso senza che nessuno si ribellasse “più di tanto”.

PS: poi, ovviamente, noi, ultimi degli elettori, dovremmo dimenticare tutto e, fra due mesi, votare convintamente. Giusto?

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