Precario come nuova dimensione dell’essere lavoratore

            Mi chiedevo, guardando quel po’ di foto, pubblicate solo da “Il Manifesto” in realtà, sullo sciopero dei lavoratori precari e della loro manifestazione qualche giorno fa a Roma, se “Precario” non sia oggi il termine che più di ogni altro descriva e rappresenti la situazione del mondo produttivo e del lavoro in Italia. Anch’io sono un lavoratore precario, ovviamente: conoscete qualche trentenne che non lo sia? Disoccupati esclusi, si capisce.
            Da tempo, infatti, si è smesso di chiamare questa immensa categoria “lavoratori atipici”. È ovvio, ormai stanno diventando la maggioranza: che senso ha chiamarli “atipici”? Così da casi, da “nuove identità lavorative”, come recita nel nome un sindacato di categoria, il Nidil della Cgil, stanno divenendo la regola. E mentre lo Stato intima alle società di call center, nuovo proletariato dell’epoca post-moderna, di risolvere la questione della “precarietà” e dello “sfruttamento” dei dipendenti, la pubblica amministrazione dello stesso Stato continua ad avvalersi di lavoratori cococo, cocopro e tutto l’universo possibile di queste contrattualità dai nomi sincopati per mandare avanti la baracca. Come dire, predicare bene e razzolare male.
            La stabilizzazione dei “precari” nella pubblica amministrazione sarebbe quanto meno un segnale, visto che non mancano quelle società private, leggi Atesia con i suoi call center, che dicono chiaramente “se devo assumere io, lo devono fare anche gli altri”. I contrari a questa ipotesi potranno obiettare: “ma i costi per lo Stato?” Perché oggi questi oltre 600 mila (a quanto dicono le stime ufficiali, ma i sindacati non negano che possano essere molti di più) che già lavorano per la pubblica amministrazione chi li paga se non lo Stato? E i precari nelle scuole pubbliche? Delle due l’una: o questi sono superflui, e quindi tutti a casa, oppure servono e visto che comunque li si paga tanto vale eliminare questa situazione di precarietà. Tanto più che il Limbo lo si sta togliendo anche dalla teologia ufficiale.
            Però a mandarli a casa, onestamente, è difficile. Perché intanto i precari nella scuola insegnano, e quelli negli uffici dell’amministrazione dello Stato, delle Province, delle Regioni e dei Comuni, sopperiscono a carenze di organico strutturali, alle quali sarebbe difficile rimediare con il personale esistente. E poi mandarli a casa tutti insieme, 600 mila e più persone, con le famiglie? Ad occhio e croce sono un partito al 3 per cento, solo a contare i tesserati.
            E allora perché mantenerli così? Li si assuma. Eh, bella idea; perché no? Non lo so. Seriamente non riesco a capire perché non si pensi a una stabilizzazione, a una regolarizzazione del sottobosco lavorativo nel pubblico impiego. Non credo sia solo e semplicemente per un problema di risorse finanziarie. Come dicevo prima, sono soldi che lo Stato oggi sta già spendendo, e le eventuali risorse aggiuntive potrebbero venir fuori rinunciando ad altro. Non vorrei fare demagogia o populismo, ma sono convinto che le cose di cui si può fare a meno ci siano. Perché non lo si fa? Non so. Posso azzardare un’ipotesi fra il serio e il faceto: forse perché fa comodo continuare a tenere quel famoso partito al 3 per cento sotto una minaccia attuabile e ammaliarlo con promesse possibiliste? Sì, lo so, lo so; sono cattivo e forse anche ingiusto. Ma quando sento dire dal Governo di Centro Sinistra di mantenere l’impianto di base della legge 30, la cosiddetta Riforma Biagi, intervenendo solo con riforma su alcuni dettagli, quali le tipologie contrattuali di “job on call”, “job sharing”, “staff leasing” (ma Biagi era italiano?), salto sulla sedia. Tutte queste forme contrattuali riguarderanno, forse, in tutto 10 o 12 lavoratori italiani. E la sterminata platea delle collaborazioni contrattualizzate a vario titolo e forma? La legge Biagi va abolita, non foss’altro che per dare un segnale di discontinuità e a favore dei lavoratori. Su questo punto, credo, i margini delle trattative fra una formazione di sinistra e gli imprenditori dovrebbero essere nulli, poi si può ragionare su tutto il resto. Che poi la flessibilità del mercato del lavoro (anche se in Italia a essere flessibili devono essere solamente i lavoratori, e non tutto il mercato, cioè domanda e offerta) favorisca la crescita economica è tutto da dimostrare. Sono i lavoratori il problema della Telecom o della Fiat? Sono i lavoratori che hanno portato alla bancarotta Cirio, Parmalat, e tutte le ditte guidate da spregiudicati capitalisti senza capitali che se ne stanno al mare sullo yacht?
            Che strano paradosso italiano: i capitalisti non hanno capitali, se li fanno prestare dalle banche, acquistano le società, si fanno nominare amministratori delegati delle stesse, caricano i debiti di cui sopra sulle casse della società acquistata, si accreditano prebende miliardarie e copiosi dividendi attraverso le stock optinons, riempiono di debiti le società (leggi i 41 miliardi di € in rosso di Telecom, ovviamente non un centesimo in meno di quanto è costata a Tronchetti Provera), le portano al fallimento ma nonostante questo  si comprano la barca, la villa, l’aereo, eccetera, eccetera, eccetera.
            Però, e lo dicono i migliori economisti, per risolvere questo problema non si interviene sui loro patrimoni, attribuendo direttamente a loro la responsabilità dei danni che hanno fatto (o, per dirla senza mezzi termini, dei soldi che si sono fregati), ma sui chi lavora, rendendo il precariato la nuova unica dimensione dell’essere lavoratore. 
            E poi dici che uno si butta a sinistra. Quella vera.    
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3 risposte a Precario come nuova dimensione dell’essere lavoratore

  1. anonimo scrive:

    …evviva il comunismo e la libertà!
    Antonio

  2. anonimo scrive:

    Ho l’impressione che siamo saliti su un treno che nessuno sa (o può….) fermare.
    Della globalizzazione ci teniamo solo le ricadute negative…..

  3. anonimo scrive:

    Ho l’impressione che siamo saliti su un treno che nessuno sa (o può….) fermare.
    Della globalizzazione ci teniamo solo le ricadute negative…..

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