Chiedete loro se sono felici

Chiedetelo. Chiedete loro, chiedete a tutti loro se adesso, vittoriosi sugli ultimi, sono felici. Io non lo so come spiegarlo meglio di così, ma è come ci fosse un vero e proprio ricatto della paura giocato sulla tristezza. Mi ci ha fatto pensare una vignetta di Makkox, pubblicata ieri da Il Foglio, in cui si vede un omino arrabbiato urlare verso l’alto che lui ha votato come gli veniva detto, ha fatto quello che gli si chiedeva, si è scagliato contro gli indifesi e quelli più deboli, purché fossero sotto di lui nella scala sociale, ha fatto tutto questo eppure ancora non arriva quella felicità a cui, in fondo, anelava e che gli era stata promessa.

Sembra di leggere Jefferson e Franklin quando, ispirati anche dalla temperie culturale della rivoluzione dei filosofi partenopei e dagli scritti di Filangieri, teorizzarono il diritto alla ricerca della felicità; in loro, quella americana, più che una rivoluzione politica, o meglio oltre a essere una rivoluzione politica, fu una rivoluzione dello spirito. Non so se la risposta che diedero sia stata sufficiente: so che si posero il problema. Poi, quasi più nessuno lo fece. Come se la pancia, solo la pancia, solo le esigenze di questa potessero di per sé stesse bastare a risolvere i drammi dell’uomo. La pancia, però, può essere sempre affamata, pure non avendone motivo. È un po’ come quell’Infinito d’un Leopardi americano, quell’obeso che cantava Gaber: l’avere sostituisce l’essere, e quella confusione di ausiliari coincidono con la sostituzione della felicità nel piacere sfuggente, nell’appagamento momentaneo dell’acquisto e del consumo. E quando non si completa o del tutto non si realizza, la colpa deve per forza essere di qualcun altro. Chi indica il colpevole, chi lo crea, è il leader, amato e da seguire.

C’è tutto questo, forse altro ancora, in quelle brutture che abbiamo visto nei giorni recenti e prima ancora, dove addirittura si è dovuto vedere il pane calpestato e una madre con i figli in braccio aggredita da un energumeno fascista, corso a menare le mani contro i più poveri per dare l’illusione ad altri d’esserlo meno e cercare così di speculare voti e consenso (per inciso: e voi con quelli lì vorreste discutere, a quelli lì vorreste dare la libertà di parola, quelli sono quanti vorreste sconfiggere con «l’arma disarmante» della tolleranza, come qualche intellettuale seduto al caffè del Corriere ha teorizzato l’altro ieri?).

In questo campo, le forze progressiste, politiche e culturali, forse hanno la colpa più grave: quella di aver cercato esclusivamente di competere con le altre sul piano dell’avere in mano qualcosa. Sì, certo, tutto è importante, non lo metto in dubbio. Io sono stato e sono il primo a dire che con le pance vuote non si riflette. Ma quelli che urlano, quelli che minacciano madri e bambini, quelli lì le pance vuote non ce le hanno affatto, a loro nulla manca davvero, se non quanto un’interessata pubblicità e un assurdo, perverso apparato di imprigionamento dei desideri vuole che si desideri.

«Ed è una morte un po’ peggiore».

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