Bisogna aiutare i migranti perché è giusto farlo ora, non per le colpe del passato

A Berlino, nel quartiere di Wedding, per decisione dei cittadini là residenti, è stata approvata una mozione per cancellare la Petersallee, perché il tale a cui è intitolata, Carl Peters, era un razzista e colonialista, detto «mano insanguinata», giusto per chiarire la caratura del personaggio. Una scelta opportuna; che quella città e la sua gente mi piacciano l’ho già detto, e questo gesto fa loro onore. Leggendo la notizia, però, mi sono ricordato delle parole di Slavoj Žižek, in un’intervista di Jacopo Zanchini, vice direttore di Internazionale.

In quel colloquio, dopo aver ricordato, con una domanda retorica, come nella storia dell’umanità non ci sia mai stato «un così grande numero di persone che ha vissuto così relativamente libero, sicuro e protetto dal welfare come nell’Europa occidentale degli ultimi settant’anni», alla faccia di chi all’Ue vuole male, diciamo, e ribadito come non pochi paesi europei si siano comportati da violente potenze coloniali, il filosofo sloveno spiega di non amare quell’atteggiamento che lui stesso definisce «il masochismo della sinistra europea. Tante persone di sinistra si sentono così colpevoli che qualsiasi cosa succeda di male nei paesi in via di sviluppo deve per forza essere colpa del colonialismo europeo». Sembra duro, eppure non lo è. E lo voglio dire anche a rischio d’esser frainteso: non lo è nemmeno quando si parla di migrazioni. Perché noi non dobbiamo aiutare i migranti perché in passato (o nel presente, sotto altre forme) abbiamo colonizzato e sfruttato le terre da cui vengono, ma perché è giusto farlo, perché non si può voltarsi dall’altra parte, perché quando un essere umano soffre quello che soffrono loro, è tutta l’umanità a essere chiamata in causa nella propria essenza.

Altrimenti qualcuno, proprio ricordando la storia coloniale, potrebbe trovare scuse da accampare per il suo disinteresse. «Cosa c’entro io con i problemi dell’Africa subsahariana? Ci pensino francesi, belgi e tedeschi, che lì hanno imperversato per secoli». Ve la immaginate una risposta così, vero? E non escludo che possiate averla già sentita. E ancora, visto che oggi chi fugge è pure vittima di un nuovo tipo di sfruttamento, quello che depreda di terre, rare e no, l’Africa per arricchire l’industria e i mercati cinesi o bombarda o lascia che si bombardi il Medioriente per assecondare le bramosie imperiali di un Putin o le velleità monroiane di un Trump, quanto tempo passerebbe, nella stessa logica, perché gli europei tutti si dicessero non responsabili delle sorti degli uomini, delle donne e dei bambini per mare e per terra disperati alle loro porte, chiedendo che se ne occupassero per primi Russia, Cina e Stati uniti?

E così, nella suddivisione delle responsabilità dei figli per le colpe dei padri, finiremmo tutti a rigirarci i pollici guardando altrove, fischiettando nell’indifferenza invece di caricarci dell’impegno alla custodia dei nostri fratelli, prendendocene cura in quanto uomini e null’altro che questo, niente di meno che ciò.

Col poeta Igino: «Cura enim quia prima finxit, teneat quamdiu vixerit».

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