Buona festa del lavoro

A me ha fatto davvero bene, e ne fa ancora, vedere tanti giovani pronti a scendere in piazza per difendere il clima e, con esso, il proprio futuro; se non lo fanno loro, dubito che lo faranno le generazioni che li hanno preceduti. Perché credo che per idee e percorsi nuovi ci vogliano menti e gambe nuove, e perché, cosa sappiano ancora fare i vecchi sul tema, temo che sia quello che oggi, in tutto il mondo, stiamo vedendo. Quindi, avanti cosi, Youth for Climate.

Il passaggio successivo – lo dico senza voler dare alcun consiglio – sarà quello di consumare meno. Non riesco a immaginare alcuna strategia di riduzione dell’inquinamento senza passare da una contrazione del numero di cose che compiamo. Per produrre ognuna di queste ci sarà bisogno di consumare risorse; l’alternativa è non comprarne troppe. E questo, mi si potrebbe chiedere, che effetto avrà sull’economia, sulla crescita, sulla vita dei tanti che campano esclusivamente del loro lavoro e che potrebbero vedersela peggiorare da una riduzione generalizzata dei consumi? Domanda ineludibile. Credo, però, anche a risposta obbligata: se si vuole inquinare meno, allora è il paradigma ciclico della produzione-scambio-consumo-produzione che deve essere ridiscusso. Radicalmente e senza sconti.

Domani è la festa dei lavoratori. Bene; non riesco a vedere momento migliore per discutere di come si esce da quel ciclo obbligato in cui il ricatto della necessità ci spinge continuamente. Senza nessuna salvifica e veloce rivoluzione facile, senza scelte isolate, che hanno solo il pregio di creare miti non dico non interessanti, di sicuro poco utili alle necessità del momento, ma con un lento e progressivo cammino di cambiamento; un grado in meno per volta sul termostato di casa, un anno in più per la giacca che portiamo addosso. Gradualmente, come insegnavano i socialisti di una volta. E a proposito di socialisti e di Primo Maggio, vorrei ricordare le parole che uno dei più lucidi di quel movimento, Riccardo Lombardi, pronunciò a Torino in occasione di questa stessa ricorrenza nel 1967.

Buona festa del lavoro a tutti.

«I socialisti vogliono la società più ricca perché diversamente ricca: è il tipo di benessere, il tipo cioè di consumi che noi vogliamo cambiare, sono veramente le basi delle aspirazioni e delle preferenze e delle soddisfazioni da dare a queste preferenze che noi vogliamo cambiare, perché il socialismo è un progetto dell’uomo, soprattutto, è un progetto dell’uomo diverso, che abbia diversi bisogni e trovi il modo di soddisfare questi bisogni.

Una programmazione che voglia andare alle sue conclusioni in uno spazio di tempo necessariamente lungo, deve attaccare il sistema dalla testa e dalla coda, deve attaccarlo dalla testa, produzione, e deve attaccarlo dalla coda, i consumi, deve cioè attraverso un’azione graduale modificare i consumi e la produzione connessa.

La scelta dei consumi non è più di pertinenza del consumatore, poiché la società moderna, la società neocapitalistica è dominata dal produttore; […] (per modificare questo stato di cose, attraverso gli interventi sulla pianificazione) in definitiva, che cosa domandavano? Domandavano un piano più avanzato, che appunto implicasse un intervento nell’attività produttiva diretto a cambiare il tipo di consumi e il tipo di produzione. […]  Come concepiamo noi quella società più ricca perché diversamente ricca, che preconizziamo come risultato di una pianificazione socialista? Donde andiamo a ricavare gli elementi per soddisfare meglio bisogni più elevati?

Li andiamo a prelevare in primo luogo dall’eliminazione delle rendite, in secondo, dalla limitazione dei consumi voluttuari e affluenti: la nostra lotta è contro la società affluente e il benessere, non già perché non vogliamo il benessere, ma perché vogliamo un certo tipo di benessere, non quello che domanda tremila tipi di cosmetici o una dispersione immensa di risorse, ma quello che domanda più cultura, che domanda più soddisfazione ai bisogni umani, più capacità per gli operai di leggere Dante o di apprezzare Picasso, perché questa, che preconizziamo, è una società in cui l’uomo diventa diverso a poco a poco e diventa uguale; diventa uguale all’industriale o all’imprenditore non perché ha l’automobile, ma perché è capace di studiare, di apprezzare i beni essenziali della vita».

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.