Ma volete o meno i loro voti?

A un certo onorevole Borghi che, sul suo profilo Facebook, rinfacciava a D’Alema di smentirsi, perché nel ’95 apriva al centro e ora guarda a sinistra, non saprei cosa rispondere, se non che l’Italia della metà degli anni Novanta non è proprio l’Europa all’alba del terzo decennio dei Duemila. È cambiata «la fase», si sarebbe detto un tempo; ma dubito che Borghi l’abbia mai sentito dire.

Ai tanti militanti che qua e là leggo scrivere cose non diverse sulle apparenti contraddizioni della sinistra, prima allontanatasi dal Pd e oggi disposta a dialogarvi, invece qualcosa la vorrei chiedere: ma voi, i loro voti, li volete o no? Perché, a parte che non c’è contraddizione nel dire che il partito renziano non è il partito di Zingaretti e non era quello bersaniano (lo dicono per primi i renziani medesimi), e quindi dall’uno ci si può tenere lontani e con gli altri cercare un accordo, la strategia per cui bisogna dare in testa a chi si dice disposto a darti una mano non la comprendo. E guardate che, a meno di concrete modifiche alla linea politica negli ultimi cinque anni seguita dai dem, io non sarò fra quelli che sosterranno il Pd. Tuttavia, non colgo il senso ragionamento insito nel respingere quei voti che, andandosene, hanno comportato il peggior risultato di quel partito da che esiste.

Poi, fate voi, ripeto: non ci sono e, finché non vedrò la cancellazione da parte di quella forza politica delle cose per cui me ne sono allontanato – dal Jobs Act alla Buona Scuola, “dallo sblocca trivelle” alla negazione della residenza per gli occupanti senza titolo di immobili altrimenti vuoti e fino all’introduzione di princìpi di diritto diseguale, addirittura etnico, si potrebbe dire citando due esponenti del Pd quali Tocci e Manconi, disposta con il decreto Minniti-Orlando –, di sicuro non ci sarò. Me lo chiedevo solo per capire un po’ meglio la Weltanschauung di quelli con cui, per un periodo più o meno lungo della mia esperienza politica, ho condiviso il cammino.

Tutto qui.

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