Parlavate di Casa Pound, giusto?

«L’Asilo di via Alessandria non era un normale centro sociale, ma la base di una cellula sovversiva di un gruppo di anarco-insurrezionalisti sociali che propugna la sovversione dell’ordine democratico partendo dalla protesta di piazza». Sono le parole del questore di Torino, Francesco Messina, dopo lo sgombero della struttura occupata da anni nel capoluogo piemontese.

Io, da qui dove scrivo, non ho strumenti per smentire o confermare le parole dell’alto funzionario al vertice della sicurezza nella città della Mole e in tutta la sua provincia; se dice che era a rischio l’ordine democratico, qualche elemento a sostegno di questa tesi deve sicuramente averlo. Quello che non mi è chiaro è come mai le stesse forze di pubblica sicurezza non solo non ritengano un pericolo per quella democrazia istituzionalizzata un gruppo di persone che si dichiarano apertamente fascisti, ma ne garantiscano la possibilità di manifestare e, di conseguenza, far proseliti e propaganda.   

No, perché se bisogna intervenire con sgomberi e azioni di polizia ogni volta che qualcuno metta a rischio l’ordine democratico, allora aspetto gli uomini del Viminale davanti alla sede di quel movimento a Roma in assetto almeno pari a quanto visto in azione nel caso dell’Asilo di via Alessandria a Torino (per non dire di quello che mi aspetterei che la giustizia disponesse nei confronti di soggetti quali Forza Nuova).

Oppure, come più volte pure si è fatto, si può soprassedere nel caso capitolino, spiegando la rinuncia a eseguire un principio di quelle stesse leggi che in altre circostanze vengono dette indiscutibili in mille e mille modi differenti, dotti e articolati. Soprassedendo, però, anche sull’invocazione retorica della tutela di un’istituzione democraticamente regolata, visto che proprio della democrazia là dentro viene fatto strame.  

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