Di dettagli si nutre il pessimismo nel giudizio

«Hai sentito? Adesso è diventato corretto dire “scendi il cane”; l’ha certificato l’Accademia della Crusca». «No», secco, «non si può dire, e no, non ha detto questo l’Accademia della Crusca». Poi, deluso e pensando tra me stesso: tanto è inutile. Ed ecco che un alito di pessimismo nascosto in un dettaglio inutile e superfluo invade tutto il mio giudizio sulle cose che mi accadono intorno, da un po’ (un bel po’) di tempo a questa parte.

La questione della transitività dei verbi di moto “approvata” dall’accademico Vittorio Coletti è un po’ come quella del «Global Waming» (scritto proprio così, come lo leggete qui) e dello sberleffo di Donald Trump: in nessuno dei due casi, i fatti interessano. E non perché non ci si sia sprecati nel cercarli; semplicemente perché, cercandoli, non si è avuta voglia di capirli. Meglio, appunto, sbeffeggiarne i sostenitori. Ha detto Coletti che non è più un errore scrivere «scendi il cane»? No, ha fatto un ragionamento più complesso, spiegando che alcuni verbi di moto ammettono «in usi regionali e popolari sempre più estesi anche l’oggetto diretto e che in questa costruzione ha una sua efficacia e sinteticità espressiva che può indurre a sorvolare sui suoi limiti grammaticali». Come dire: a scuola, i professori lo segneranno sempre come errore; ma se vi capita di sentirlo per strada o vederlo scritto in una chat di WhatsApp, non è il caso di arricciare il naso atteggiandovi a eruditi. Può il riscaldamento globale provocare fenomeni estremi che, combinando le correnti in modo diverso, possono portare a ondate di gelo potentissime, eccezionali e concentrate, pur rimanendo in aumento la temperatura complessiva del pianeta? Certo che può. Un po’ come si può aumentare la temperatura complessiva in un appartamento pur chiudendo il termosifone del bagno e lasciando lì aperto il balcone; nel complesso la casa sarà mediamente più calda, però nella doccia potremmo trovare i pinguini a far le bolle di sapone col nostro bagno schiuma.

Ma tutto scivola costantemente. Non si riesce ad agganciare nulla, al tempo dei tweet. Per ogni cosa, la risposta dev’essere immediata, repentina. Altrimenti non si è efficienti. E pazienza se la qualità ne perde, come non può che perderne; qui si va di fretta, cosa volete che siano i dettagli per chi deve commentare tutto al ritmo di milioni di bit al secondo? No, non mi sto assolvendo; sono pienamente immerso in questo fluire di reazioni continue che nulla, o poco più di niente, lasciano allo spessore del ragionamento, naufragando in quello scorrere senza alcuna dolcezza nei sensi e nello spirito.

E visto che ne ho parafrasato le parole, lascio ai versi d’un suo Scherzo la chiusura di questo mio modesto – eppur sentito e tristemente reale, per quanto mi auguri per me stesso liberatorio – sfogo: «Io mirava, e chiedea:/ Musa, la lima ov’è? Disse la Dea:/ La lima è consumata; or facciam senza./ Ed io, ma di rifarla/ Non vi cal, soggiungea, quand’ella è stanca?/ Rispose: hassi a rifar, ma il tempo manca».

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