L’obbedienza a leggi inumane non è mai una virtù

Non lo so se è un segno positivo per il nuovo anno che inizia, ma di sicuro mi piace ricominciare su questo mio spazio, dopo oltre un mese di pausa, con una notizia, per me, positiva: la disobbedienza promessa da alcuni sindaci rispetto al cosiddetto «decreto sicurezza» del governo legastellato, particolarmente nella parte che vieta ai Comuni di iscrivere i richiedenti asilo nelle liste delle relative anagrafi, costringendoli, di fatto, a una limitazione dei diritti che dovrebbero essere universali, quali l’accesso alla sanità o all’istruzione per i minori.

Ha iniziato il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, chiedendo ai suoi uffici di non applicare intere parti della Legge 132/2018 e spiegando che questa disposizione è motivata dal fatto che «secondo la Consulta lo straniero è anche titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce spettanti alla persona», e di conseguenza è necessario intervenire per «evitare applicazioni ultronee delle nuove norme che possano pregiudicare proprio l’attuazione dei diritti». Gli ha fatto eco il primo cittadino di Napoli, Luigi De Magistris (e pure in quest’assonanza meridiana voglio leggerci un buon auspicio): «Noi continueremo a concedere la residenza e non c’è bisogno di un ordine del sindaco o di una delibera perché in questa amministrazione c’è il valore condiviso di interpretare le eleggi in maniera costituzionalmente orientata». A seguire, sono poi arrivate le voci del sindaco di Firenze, Dario Nardella («non possiamo permetterci di assistere a questo scempio umanitario»), e di quello di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà («non applicheremo mai norme che vanno contro i princìpi costituzionali e di accoglienza») e di altri ancora. Per dirla come la disse Don Lorenzo Milani, «l’obbedienza non è più una virtù». E finalmente, aggiungo.

Meglio, se quella è la legalità, se l’inumanità si fa legge, allora obbedirle non è mai virtuoso. Perché anche le leggi razziali fasciste, pure quelle di Norimberga erano, nel tempo in cui furono emanate, la legalità; e magari allora in tanti avessero fatto come promette di fare oggi l’Orlando giusto, sottraendo la propria umanità e la morale da essa discendente a quella tentazione che spesso seduce i potenti di conformarsi a ciò che pare essere il volere dei molti.

Già, perché per una curiosa pratica del paradosso, devo quasi esser felice delle immediate parole di Salvini a seguito delle dichiarazioni dei sindaci disobbedienti. «Allora, rinuncino ai fondi dello Stato», dice il vicepremier a chi gli si oppone. Sì, nella sua logica, il solco è preciso: se vuoi aiutare i migranti, lascia intendere, allora io punirò i cittadini del tuo comune, così che saranno messi gli uni contro gli altri, e potrò spiegare che vengono penalizzati degli italiani perché gli amministratori vogliono aiutare gli stranieri.

Il clivage a cui punta il ministro della paura è quello inevitabilmente presente fra di noi, fra tutti noi che abitiamo la medesima terra, respiriamo la stessa aria: quali limiti si pone il nostro sentimento di giustizia? Può esso andare oltre quanto ormai appare ineluttabile, contro la pratica e la predica della bestialità resasi governo e potere? Abbiamo la forza e la volontà di provare inverare in azioni le nostre idee, i nostri valori o, tutto sommato, la loro essenza non vale poi tanto da mettere a rischio i fondi per i controlli antispaccio davanti alle scuole o per l’installazione di impianti di videosorveglianza?

Che cosa siamo disposti a fare o a perdere?

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