In un esame all’università (in un’altra vita, in un tempo diverso), mi toccò di leggere, e con estremo piacere, À rebours, di Joris Karl Huysmans. Tra gli agi di una condizione privilegiata e le nevrosi d’una vita ritirata, in quel libro il protagonistra, Jean Floressas Des Esseintes, scopre un suo peculiare modo di fare al contrario le cose che la mondanità chiede e l’esistenza impone a tutti gli altri, fino alla follia di una tartaruga intarsiata di gemme, fino al capovolgimento della natura in clisteri nutritivi, di cui egli già si immagina gran mastro in ricette e preparazioni. E al contrario mi sembrano andare anche le cose dell’oggi, qui dove viviamo.
Leggo dall’account ufficiale del Movimento 5 Stelle su Twitter, il partito di maggioranza relativa nel Governo del Paese: «Che La Repubblica sia diventato un quotidiano di regime è sotto gli occhi di tutti, basti pensare che tra i senatori del #Pd c’è Tommaso Cerno, fino allo scorso gennaio condirettore de #LaRepubblica». Ora, per questa tesi, cosa sarebbero le testate per cui lavoravano i giornalisti finiti nell’area della maggioranza attuale, da Emilio Carelli, un passato a Mediaset e poi direttore di SkyTg24, a Gianluigi Paragone, già direttore de La Padania e una carriera fra Rai e La7, fino a Dino Giarrusso, ex “iena” di Canale5, non eletto nelle file del M5S perciò premiato con un importante incarico nel ministero dell’Istruzione? Ma lasciamo perdere. Il dato più interessante di quel tweet è l’idea che il «regime» sia quello dell’opposizione. Insomma, il mondo al contrario, come si diceva.
Se un regime c’è (e io non lo credo, non ancora, almeno), al massimo è rappresentato da chi è al potere: loro. Gli altri, nella migliore o peggiore delle ipotesi, a seconda del lato da cui si giudica, fanno ciò che possono per opporsi; definirli regime è un modo preoccupante di intendere la vita politica. Una sorta di «neolingua» (a proposito di Orwell, ricordate i tre slogan sulla facciata del
Ministero della Verità? La guerra è pace, La libertà è schiavitù, L’ignoranza è forza? Appunto) nella quale non può esserci il dibattito e il contraddittorio democratico, ma solo lo scontro tra i buoni e i cattivi, il bene e il male. E se il bene coincide col potere, allora a questo non è legittimo opporvisi, a meno di non ricadere nel male, nell’errore, nel problema da risolvere, magari estirpandolo.
La tentazione di rispondere col sarcasmo a uscite del genere è sempre alta, però qui rischiamo di essere a un livello più profondo e raffinato di aggiramento della realtà nel discorso pubblico e nel racconto politico. E fino a quando questo tipo di narrazione farà presa nell’elettorato, un problema, meglio, il problema, lo avremo tutti. Non esclusi quelli che credono di stare dalla parte giusta della discussione.