La moral card

Quelli che fanno un condono fiscale chiamandolo pace, spiegano, come ha fatto la sottosegretaria (absit iniura verbis) Castelli, che se con i soldi della social card, pardon, della carta su cui sarà caricato il reddito di cittadinanza, vai all’Unieuro, ti arriva la Guardia di Finanza a casa. E il capo politico di quel movimento, nonché, per la questione, ministro competente (ibidem), chiarisce che con quello strumento di pagamento elettronico che verrà non saranno possibili «spese immorali».

In effetti, prima ho sbagliato. Non è affatto una social card rivisitata: al massimo, è una moral card, sorta di benevolo ausilio sulla via dello Stato etico prossimo venturo che annunciano quelli che, con i soldi dati loro dallo Stato laico esistente, tutto possono fare, pure lamentarsi per non essersi riusciti a fare un ponte di Ferragosto in santa pace per un ponte reale e di cemento caduto, con tanto di morti, feriti e sfollati. L’atteggiamento che i governanti stanno assumendo in questa vicenda è proprio del ricco che dà l’elemosina, non dell’istituzione che garantisce un diritto. Perché se quello al reddito di base lo si intende un diritto, allora lo si garantisce a coloro a cui spetta, senza invadere per questo le loro vite. Se invece è visto come una concessione, un favore, ecco che si pongono le basi per una valutazione etica del suo utilizzo. E quindi si vieta di accumularlo non spendendolo e si giudica sul suo uso o si proibisce di impiegarlo secondo le esigenze e le inclinazioni di chi lo riceve.

Vedete, io non sono affatto contrario al reddito minimo garantito; lo chiedo da quando lo cantavamo ritmando nelle strade del Paese, oltre un quarto di secolo fa, chiedendo che a finanziarlo fossero le tasse sui grandi patrimoni, a cui oggi si potrebbero aggiungere quelle sugli immensi profitti dei big della Rete. Sono fermamente contrario, però, a una misura che, in fondo, nasconde altro: il paternalismo dei potenti che accarezzano il popolo con la promessa di soddisfarne i bisogni e la minaccia di bloccare quella magnanima elargizione se chi ne beneficia non segue l’ordinamento morale di chi la consente.

Così, non va bene; anzi, così fa veramente schifo.

Note a margine – Mi rimane un dubbio, e una paura. Il dubbio è sulla effettiva entità di questa misura. Da mesi, i Cinquestelle strombazzano in giro che essa servirà a combattere la povertà, perché, dicono, «in Italia ci sono cinque milioni di poveri». E più o meno questo hanno urlato pure dal balcone (incuranti dell’effetto sudamericano) di Palazzo Chigi nelle scorse settimane. Bene, ma i conti rischiano di non tornare, visto che loro stessi parlano di 10 miliardi di euro, di cui due per il funzionamento della stessa misura, attraverso il potenziamento dei centri per l’impiego. Ora, 780 euro al mese sono grosso modo 10.000 l’anno, senza contare eventuali contributi o altri oneri. E con 8 miliardi, di redditi così fatti ne garantisci più o meno 800mila, che anche a contarli e aggregarli per famiglie, difficilmente soddisferanno i 5 milioni di bisognosi a cui dicono di voler dar risposte, abolendone, per decreto, la povertà.

E poi, dicevo, ho una paura, che un mio caro amico esplicitava meglio di come potrei fare qui in un messaggio inviatomi ieri. Il timore, spiegava, «per questa legge finanziaria, oltre ai possibili danni economici per il Paese, è quello per i pericoli politici a cui espone. Se dovesse fallire, sarà il fallimento di politiche giudicate di sinistra, e quindi ci sarà un ulteriore spostamento a destra dell’opinione pubblica. Non a caso, la destra lascia su questo la ribalta al M5S. Insomma, l’incubo politico cresce». E il mio col suo.

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