Il duro male

L’architrave spezzato a serrare definitivamente una porta da tempo chiusa,
il segnale che lì dove per anni vissero uomini e storie non entrerà più nessuno.
Come d’invero lo dice la neve, che sui comignoli si raccoglie senza sciogliersi,
ché nessun fuoco è acceso in quelle case da cui dipartono, nessuno vi si scalda.
Gli scuri delle finestre o son già divelti dal vento scendono sghembi, semiaperti,
o contorti dal sole, ingialliti. Là un intonaco si stacca e cade a pezzi sul selciato,
anch’esso mancante di molti pezzi che in epoche vicine sostennero pesi e passi,
mentre ora si aprono in buche ad accogliere la pioggia, a sconnettersi ancora.
E immagini di ascoltare le voci che pure per quei vicoli dovettero risuonare,
quasi rivedessi i volti che le emisero, vorresti parlarci e chiedere dove siano,
in quale luogo siano andati, come fuggiti o nascosti a causa d’un duro male
che questa terra ha avvolto e non pare essere intenzionato a lasciare a breve.
Ma ti accorgi che è a uno specchio che rivolgi quell’ipotetica vana domanda,
e nel conoscere la risposta, si perde in dolore l’antico animo che interrogava.
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