Giustizia è disobbedire

«Se questa è la Legge», titolava ieri in prima pagina Avvenire, a proposito di quanto sta avvenendo nel sud degli Stati Uniti, al confine con il Messico, dove, scrive nell’editoriale sullo stesso quotidiano Eraldo Affinati, «duemila bambini divisi a forza dai genitori […] sono stati acciuffati dalle guardie di confine e portati in una struttura di detenzione in attesa di venire espulsi […] distesi sui tappetini del magazzino trasformato in reclusorio, con la carta stagnola usata come coperta e le bottigliette d’acqua minerale poste ai lati, ci fanno capire dove conduce la politica dei respingimenti: in un vicolo cieco, in un pozzo scuro, sull’orlo del baratro».

Non solo un osservatorio come il giornale dei vescovi italiani la vede con quei toni. La stessa Melania Trump ha fatto sapere di «odiare il vedere bambini separati dalla loro famiglie», e una ex first lady del calibro di Laura Bush non ha esitato a scrivere che «questa politica di tolleranza-zero è crudele. È immorale. E mi spezza il cuore». Più diretto il deputato Peter Welch, dopo un’ispezione sul posto: «La mia visita al confine meridionale del Texas, ieri, è stata straziante. Ho visto dei bambini rinchiusi in una fila di gabbie. Ho incontrato madri sconvolte, in lacrime perché non sanno dove siano i loro figli o se li vedranno mai più. Questa politica è vergognosa. È non-Americana». Eppure, tutto questo avviene nel rispetto della legge, come titola Avvenire, e, come scrive il suo editorialista, non possiamo nemmeno incolpare le storture dei totalitarismi, perché «sul piatto abbiamo i frutti marci della democrazia: la prima del mondo moderno, quella da cui prendemmo esempio, anche se gli angeli della natura ai quali Abramo Lincoln avrebbe voluto affidare il coro dell’Unione, preferirebbero, ci scommettiamo, spezzare le proprie ali piuttosto che accompagnare il pianto dei bambini reclusi nelle gabbie texane». E se quella è la legge, la giustizia non può non stare nel disobbedirle. Anche in uno Stato di diritto, pure in un sistema democraticamente definito e regolato.

Vengono in mente i Thoreau, e il suo rivendicare quale obbligo morale quello di non piegarsi a leggi ingiuste, di non rispettarle, o le Arendt, col monito, ancor più vero in un Paese formalmente libero, rivolto a quanti sanno di poter dissentire e che, nel non farlo potendo, esprimono un tacito assenso. Oppure, per tornare alla dimensione culturale da cui sono partito, i don Lorenzo Milani, e il suo ricordare che non di rado è nell’obiezione, non nella sterile obbedienza, la salvezza del mondo.

Ma mi viene in mente anche altro, e cioè che in fin dei conti, come spiegava nello stesso brano in cui elogiava le ragioni della coscienza contro l’assuefazione all’obbedire lo stesso parroco di Barbiana, la divisione più profonda e vera su questa terra passa sempre fra i ricchi e i poveri. Infatti, gli stessi Usa che consentono alla legge di usare la mano forte contro gli ultimi stranieri, accolgono senza difficoltà i forestieri danarosi, pensando per loro un apposito visto, l’EB-5, con tanto di lista di realtà economiche approvate dal governo, i Regional Centers, in cui investire i propri soldi per facilitare l’ottenimento di quella green card che per le moltitudini in cerca della promessa gridata al mondo dalla poesia di Emma Lazarus è poco meno di un miraggio.

Per citare un coevo di Thoreau, quel Melville troppo noto solo per le versioni in pellicola della sua grande opera: «Now Jonah’s Captain, shipmates, was one whose discernment detects crime in any, but whose cupidity exposes it only in the penniless. In this world, shipmates, sin that pays its way can travel freely, and without a passport; whereas Virtue, if a pauper, is stopped at all frontiers». Nella traduzione di Cesare Pavese: «Ora, compagni, il capitano di Giona era uno di quegli uomini sagaci che capiscono subito se uno è colpevole ma per la loro cupidigia denunciano solo i poveri. Su questa terra, compagni, il peccato che paga può andare in ogni luogo e senza passaporti, mentre la Virtù, se è povera, viene fermate a tutte le frontiere!».

Questa voce è stata pubblicata in filosofia - articoli, libertà di espressione, politica, società e contrassegnata con , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

1 risposta a Giustizia è disobbedire

  1. Italiote scrive:

    Sfugge ancora il nesso causa-effetto per cui l’astensionismo di tanti pretendenti Thoreau abbia agevolato questa situazione?

    Dove è finita la spocchia del “non spetta a me” impegnarmi?

    La “lezione” di cui costoro dovrebbero prendere atto non ripaga il danno di chi, non desiderando un simile esito, ha assolto a dovere costituzionale di “prendere parte”.

    Confido che questa legislatura non vi lascerà indifferenti come coloro che facevano girare i “francesismi” a Gramsci.

    #Sapevatelo!

Lascia un commento