Quei tempi lunghi di cui non vogliamo più sapere

«Mentre in Cina il presidente Xi serra i bulloni di un sistema tranquillamente autoritario, in Russia le elezioni rafforzano la presa sicura di Vladimir Putin, al potere dal Duemila: il 18 marzo “lo zar” correrà in solitaria e senza strepiti verso il quarto mandato. E davanti a questa dimostrazione di accresciuta solidità, l’Occidente democratico in ordine sparso come risponde? Alzando a ripetizione quelle che nel Monopoli corrispondono alle carte degli “Imprevisti” (o delle “Probabilità”). Per molto tempo sono stati autocrati e dittatori, dal re africano Bokassa agli inquilini del Cremlino, a detenere il patentino opaco dell’imprevedibilità al volante. […] Davanti a quello spettacolo fatto di leader inamovibili e scelte arbitrarie, l’occidente offriva di sé l’immagine di un “usato sicuro”, una macchina che basava la sua affidabilità, più che sulla tempra dei leader che si alternavano alla guida, sullo stato di diritto e il libretto di istruzioni. A guardarlo oggi dall’alto, l’“autosalone” mondiale presenta modelli che paiono capovolti. […] Da una parte autocrati posati, dall’altra l’incerto Occidente del “chi lo sa”».

Così Michele Farina, ieri in un corsivo sul Corriere che muoveva dalle ultime decisioni dell’Assemblea del popolo nel grande Paese del dragone. E sembra proprio essere come lui ha scritto: da un lato, forse autocrati, di certo poco democratici ma alla guida di sistemi stabili, dall’altro, indiscusse democrazie che vivono i sobbalzi dei fenomeni spesso scriteriati. Con la diva, potremmo dire anche noi d’andar pazzi per le elezioni, dove non si sa mai chi vince, ma è necessario metter pure l’eventualità di vittorie potenzialmente destabilizzanti, così scriteriate da, quasi (e ci tengo a sottolineare l’avverbio), far rimpiangere stagioni in cui alle decisioni si giungeva per percorsi meno emozionali. Cosa sto dicendo? Beh, in una parola, o meglio, in un nome, Trump. Un cinico aristocratico piombato qui di colpo dalla fine del XVIII secolo potrebbe chiederci, guardandolo: «non era per avere lui al comando che avete fatto a pezzi il nostro mondo e le sue regole?».

Come se ne esce? Non ne ho la più pallida idea. O almeno, non ho alcuna ipotesi da fare che non comprenda un lavoro lungo che in questi tempi di brevità scambiata per celerità, probabilmente sacrilego al solo pensarlo, nel tempo in cui subiamo la tirannia del ticchettio della sfera dei secondi persino quando parliamo di processi epocali. Si tratta di costruire quel tessuto che è andato perduto da quelli che avrebbero dovuto custodirlo, e che invece l’hanno ignorato con la stessa supponenza con la quale era dato per scontato quando funzionava.

Ma per i processi lenti, chi ha tempo?

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