La differenza in una preposizione, semplice o articolata

Intervistato l’altra sera da Lilli Gruber a Otto e mezzo, su La7, Pieluigi Bersani ha spiegato che si può essere sinistra di governo anche stando all’opposizione. Perché, diceva giustamente, pure da quel ruolo e da quei banchi si possono influenzare i provvedimenti dell’esecutivo, caratterizzarli e farli andare in una determinata direzione o nell’altra. Il tema, appunto, sta nel volerlo fare, nel non volersi arrendere al loro scorrere per i sentieri che qualcun altro ha già tracciato. E nel saperlo fare, ovviamente.

Ma il discorso di Bersani non faceva e non fa una grinza. Strano, semmai, è il suo apparire bizzarro nel panorama del dibattito pubblico attuale. Insomma, dire, come ha fatto l’esponente di Liberi e Uguali, che si può essere di governo anche stando all’opposizione suona paradossale, ma solo a orecchie abituate a confondere quel «di» con un «del», a scambiare la preposizione semplice per la sua articolata. Pensare che solo dalle poltrone del comando si conti e che solo il partito che le esprime può determinare le cose che accadono è il sintomo più chiaro della resa della politica alla sua esclusiva dimensione esecutiva. E di conseguenza, del ridursi della funzione dei partiti alla sola capacità che hanno nel formare o far parte di un governo. Purchessia e qualunque cosa faccia; l’importante è che si sia lì dove quelle cose vengono attuate e fra quelli che le mettono in pratica.

Chiaramente, in questa logica diventata totalitaria e totalizzante, quei pochi che ancora pensano che la politica serva a definire le idee e le elezioni, di conseguenza, a eleggere i rappresentanti che queste possono meglio interpretare e valorizzare, si trovano spiazzati. Per questo può capitare di accogliere con sincero piacere le parole di Bersani e di fare a lui e al movimento di cui è protagonista i migliori auguri, sentiti e non ironici, e, allo stato attuale dei fatti, nulla di più. Sarà per un’altra volta, quando quel tema potrà essere affrontato al meglio e se chi adesso se ne fa portatore non sarà nel frattempo stato tentato dall’ansia di interpretare anch’egli quel «di» come un «del», votato per stare all’opposizione ma vinto dalla seduzione d’esser parte di una maggioranza.

E sulle prossime elezioni, seguendo una prassi che non ha senso applicata all’era del digitale, mi fermo qua. Osserverò un personale “silenzio elettorale”, intimista, quasi. Per la prima volta da un quarto di secolo non ho seguito da vicino la campagna e non starò in attesa di conoscere i frutti che darà. Leggerò i risultati quando ci saranno, li commenterò, certo, cercherò di capirli. Ma da più lontano rispetto alle altre volte, a tutte le altre volte; e di questa per me nuova situazione un po’ mi dispiace, per quanto molto da essa sia incuriosito.

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2 risposte a La differenza in una preposizione, semplice o articolata

  1. Enrica Padovan scrive:

    Per la prima volta (sicuramente per colpa mia) ho dovuto rileggere questo articolo per capire bene il senso.
    La tua è una tesi interessante e difficile da metabolizzare, ma merita approfondimento e discussione.
    Poi ci farai sapere come è stata la tua “prima volta” …lontana. Incuriosisce anche me.

  2. Pingback: Bene, grazie (e con la consapevolezza che non fa per me stargli più d’appresso) | Filopolitica

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