Cose d’America non troppo lontane

«C’è chi pensa che la candidatura della Winfrey eviterebbe questo conflitto tra le due ali del partito. Sarebbe, però, la conseguenza della scelta di un personaggio di forte impatto mediatico ma privo di competenza e programmi politici. Un autogol: hai messo sotto accusa il presidente-immobiliarista soprattutto per la sua ignoranza ed evanescenza e proprio ora che i suoi limiti stanno emergendo agli occhi della gente, ti pieghi alla sua logica puntando su un personaggio simile, almeno come estrazione. L’impopolarità del presidente e le tensioni fra Trump e i repubblicani stanno facendo risalire i democratici nei sondaggi, ma la realtà rimane quella di un partito in crisi d’identità: con due 75enni (Joe Biden e Sanders) pronti a darsi battaglia e i volti nuovi (da Kamala Harris a Kirsten Gillibrand) che faticano a emergere, sembra quasi che per sconfiggere Trump ci sia bisogno di un altro miliardario: se non sarà la Winfrey, miliardaria dello spettacolo, ci sono Tom Steyer (hedge fund) e di Mark Cuban (proprietario dei Dallas Mavericks, basket Nba). E c’è chi scommette su Mark Zuckerberg di Facebook o su Howard Schultz di Starbucks. Un campo affollato dal quale si è appena ritirato Bob Igier: resta alla guida della Disney».

Massimo Gaggi, per Il Corriere della Sera, scrive di questioni statunitensi. In filigrana, però, si può leggere un po’ tutta la realtà dei sistemi democratici occidentali. Anni di martellamento alle fondamenta dei corpi sociali intermedi hanno reso la politica una sorta di corsa al volto, al nome. In quello, chi ne ha già uno noto è avvantaggiato, quelli che hanno possibilità di crearsene (o rifarsene) uno, anche. In mezzo, rimane nell’anonimato ogni politico che potrebbe dire la sua, se solo sui media funzionassero bene le sue arti di comunicatore. Dove, se non nelle «fumose riunioni» di un partito avrebbe potuto formarsi una classe politica come quella che guidò le nazioni sulle due sponde dell’Atlantico nel periodo post-bellico, che forse in video funzionava poco, ma che di sicuro aveva una visione chiara e una competenza sicura e vasta? Guardatele oggi a cosa sono ridotte le competenze e le visioni. E non stupisce che gli Usa giungano a Trump, dopo che per anni ci hanno spiegato che un candidato poteva perdere per una cravatta sbagliata, il trucco non messo e troppo sudore durante un confronto in televisione.

Lì fa solo più rumore, perché è più grossa la cassa di risonanza su cui si dibatte, ma non è differente. Come non è diversa da quella dei rivali la natura della risposta che i democratici sarebbero tentati di dare ai repubblicani: voi avete vinto con un personaggio famoso preso fuori dal mondo della politica, noi ne proponiamo un altro, e vediamo chi pesca la carta migliore. In ognuna delle soluzioni, però, rimane la parte centrale del problema: la fine della politica e la conseguente sparizione di quelli che della politica facevano passione e vita.

Il resto, è un talent show.

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1 risposta a Cose d’America non troppo lontane

  1. Italiote scrive:

    Da una recente sentenza:

    «Quanto alla storia del non aver mai lavorato, basta osservare che – nel linguaggio comune – costituisce una frase che si predica del (deprecatissimo!) ‘professionista della politica’ che – magari ‘politicamente’ occupato per 15 ore al giorno – tuttavia non svolge o non ha mai svolto nessuna ‘attività civile’”»
    https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/31/matteo-salvini-non-e-reato-dire-che-non-ha-mai-lavorato-giudice-archivia-querela-al-fatto-quotidiano/2420776/

    Non saprei dove reperire una fonte autoritativa che enumeri tutte le ‘attività civili’ secondo il il linguaggio che tutti dovremmo parlare che ma spero di non essere costretto a pensare che la politica non sia tra queste invece che limitarmi a riconoscere che taluni aspirino a diffondere tale concezione…

    L’estensione di Martin alla legge di H.L. Mencken non era giunta a tal punto.
    I luogocomunisti sono sempre al lavoro! 😛

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