Cuperlo, l’astensione e una peculiare “statolatria”

Domenica, per eleggere il presidente del X Municipio capitolino, quello di Ostia, ci sono andati solo tre elettori su dieci. Un dato che fino a qualche tempo fa avremmo definito «preoccupante», ma che oggi appare normale, dopo che per risultati non tanto diversi (ricordo, ad esempio, che nella patria dell’impegno politico quale dover civico, l’Emilia Romagna, alle scorse regionali votò una percentuale simile di aventi diritto) i massimi vertici politici del Paese hanno fatto “spallucce”, parlando di «problema secondario». Ovviamente, la disattenzione e la superficialità dei rappresentanti istituzionali nel rapportarsi a questa tendenza ha delle eccezioni, alcune lodevoli. È il caso di Cuperlo, che pur di non darla vinta a quelli che rinunciano, a Ostia sarebbe andato a votare, e avrebbe votato per il candidato dei Cinquestelle.

Nemmeno a dirlo, il solo pronunciare quell’ipotesi ha attirato sul buon Gianni le ire dei suoi colleghi di partito. E però, fra lui e loro, una differenza c’è. Perché Cuperlo «ha fatto le scuole», e sa che in politica ogni cosa ha più d’un risvolto. Al netto della scelta di campo in questo caso, per lui non votare è il problema. Sinceramente, tra l’una e l’altra candidata, fossi stato ostiense, domenica avrei fatto un giro sul litorale a ricordare Pasolini. Ma se mi astengo io, cafone inguaribilmente sedotto dai propri sogni d’anarchia, è un conto, se un partito o dei rappresentanti delle istituzioni elettive lo fanno, o addirittura chiedono di farlo, è un altro. Astenersi è legittimo, lo penso anche quando sostengo referendum abrogativi con l’incognita del quorum, dove l’astensione danneggia la parte che ho scelto, come quello sulle trivellazioni, per capirci. A essere rischioso, invece, e lì Cuperlo cerca di dire qualcosa (secondo me inutilmente) ai suoi compagni, è l’appello all’astensione fatto da quanti parlano da un posto a cui con un voto sono stati eletti. Se chi fonda la propria legittimità rappresentativa sul consenso popolare ha di questo una così bassa stima da scoraggiarlo quando in esso la sua ipotesi politica o il suo partito non sono contemplati, allora come si possono poi biasimare quanti dubitano di quello stesso percorso di legittimazione o che, in definitiva, nell’intero sistema non nutrono alcuna fiducia?

Questo è il ragionamento implicito che si fanno quelli che, come Cuperlo, dello Stato e dei meccanismi della democrazia rappresentativa hanno fatto religione. E in quella religione, in quella peculiare forma di “statolatria”, l’astensione è blasfemia, peccato mortale, percorso che porta alla scomunica, che nei fatti è la delegittimazione indiretta perpetuata attraverso la poca legittimità e, esagero, “sacralità” che si riconosce ai percorsi che sostengono il sistema. Come dicevo, Cuperlo coglie un aspetto che vale anche per i suoi colleghi, ma difficilmente, i più fra questi, avranno la sensibilità necessaria a capirlo.

La sua, in fondo, è una fede incrollabile nel voto come via prevalente e ineludibile della partecipazione dei singoli alla vita politica e democratica della società. Un comportamento e una convinzione ammirevoli, lo dico senza alcuna ironia. Ma pure vani, considerato oramai «lo stato presente dei costumi», e non solo degli italiani.

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1 risposta a Cuperlo, l’astensione e una peculiare “statolatria”

  1. Italiote scrive:

    Chi abitava ad Ostia non aveva innanzi a sé gli unici candidati sindaco poi oggetto di ballottaggio e nelle comunali non si eleggono solo i sindaci e la maggioranza ma anche gli altri consiglieri.

    http://www.elezioni.comune.roma.it/elezioni/2017/comunali/A112017/plis10.htm

    L’esempio ad hoc e la caricatura del rispetto di un principio costituzionale di cui un tempo apparivano ovvie le implicazioni razionali, non risultano neanche lontanamente assimilabili ad argomentazioni di merito:

    La “statolatria” (argomento ad hominem che ironizza una compulsione irrazionale) e le opzioni al “2° turno” ad Ostia (cherry picking che pretende di illustrare una dinamica partendo da un quadro incompleto) non motivano razionalmente l’astensione nel caso in oggetto e palesemente non dimostrano alcuna volontà nel rappresentare le ragioni anti-astensionista che si pretenderebbe di confutare.

    L’implicito messaggio che il non voto non sia “un tabu” per i non statolatri distrae dalle questioni di merito.

    L’inavveduta attribuzione di inutilità al voto massivo sembra spesso associata ad una malpercepita sottostima degli effetti dell’astensione massiva che porta ad escludere che per “eterogenesi dei fini” gli astensionisti ostacolino attivamente la possibilità di affermare i “valori” che dichiarerebbero di avere e sostengano passivamente (per omissione) quelli che pretenderebbero di avversare.

    Il fatto che gli effetti sociali siano determinati dal comportamento aggregato dei cittadini non rende certo istintivo percepire un nesso causale tra i comportamenti individuali e gli effetti collettivi.

    Ed è così che il colmo dei colmi che molti hanno sotto al naso “a propria insaputa” nei dintorni del Colosseo è che la gravità con cui l’astensione intacca (disproporzionalmente) alcuni orientamenti politici più di altri potrebbe incentivare proprio questi a saltare maggiormente sul carrozzone dell’astensione “perché tanto non cambierebbe nulla”.

    http://www.demos.org/publication/why-voting-gap-matters

    Quanto cinico sarcasmo è mal indirizzato nel cerare di “delegittimare” il dovere civico di partecipazione!

    PS: Il livello di scolarizzazione è aumentato moltissimo dai tempi in la “statolatria” era quasi totale (con l’astensione all’8%): Che fortuna che gli antifascisti che hanno rinnegato il monopartitismo non fossero al corrente che la malapolitica fascista avrebbe dovuto invece indurli a desiderare il non voto! 🙄

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