Rispettare la maggioranza non vuol dire doverne per forza far parte

«Pur tenendo conto delle posizioni delle minoranza, bisogna rispettare il parere e il volere della maggioranza; la democrazia funziona così». Su un concetto simile, per quanto banale, credo che difficilmente non potremmo non concordare. E personalmente, a quanti quasi me lo tirano dietro ogni qualvolta provo a eccepire rispetto alle idee dei più, non ho mai replicato dicendo che non sia vero (e ciò potrebbe aprire un discorso approfondito sul che cosa sia, qui e ora, la democrazia, ma soprassiedo). E però c’è un «ma» ineludibile rispetto a quanto in quell’asserzione si definisce.

Rispettare il volere della maggioranza, infatti, è un conto, farne parte un altro. Io non dico che un governo non abbia il diritto (nei limiti del possibile, s’intende) di provare a fare quello che crede giusto, oppure, per stare all’esempio che viene puntualmente usato come clava nei confronti di quelli che, da sinistra, dissentono sulle politiche del Pd, che il partito di Renzi non possa o non debba fare le cose che ha fatto fin qui. Non capisco perché, però, io dovrei dare una mano a farle. Qui non stiamo parlando di un processo obbligatorio, tipo quello che ci costringe a pagare una tassa pure se la riteniamo ingiusta, ma di una libera partecipazione spontaneamente data attraverso il voto. Per farla breve (e per stare al caso tutt’interno a una sola parte che ricordavo prima), Renzi vuole fare il Jobs Act con Sacconi, le grandi opere con Lupi e fermare i migranti con la mano di Minniti e l’ausilio delle milizie libiche? Ci provi; non avrà il mio voto, tutto qui.

Quando me ne sono andato dal Pd, in molti mi spiegarono, non di rado con intenti polemici, il rispetto, appunto, del volere delle maggioranze definitesi in quel partito. Dal mio punto di vista, avevano ragione: proprio in rispetto a quelle volontà io lasciavo il partito, dando alla maggioranza che lo componeva e, ancora, lo compone tutto l’aggio di farsi totalità togliendole anche l’assillo di dover mediare col mio dissenso.

Il quale, radicalmente, rimane intatto ed espresso in luoghi, tempi e modi diversi.

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2 risposte a Rispettare la maggioranza non vuol dire doverne per forza far parte

  1. Italiote scrive:

    Un discorso sulla democrazia potrebbe essere utile condividerlo visto che non ne esiste un’unica concezione ma potrebbe giovare anche solo chiarire quali sottintesi non dichiarati si introducano parlando di “maggioranza” o del “farne parte”…

    Nella nostra democrazia i deputati avrebbero il dovere di rappresentare “la Nazione” contribuendo proficuamente alla deliberazione senza scadere nel groupthink

    Purtroppo l’abitudine ad abusare della “questione di fiducia” sembra lasci a coalizioni “di maggioranza” al massimo una funzione di veto (la cd “riserva di Assemblea” c.cost. 237/2013) delegando scelte di indirizzo politico al consiglio dei ministri (che deciderà forse “a maggioranza” ma non so se siano disponibili verbali delle discussioni di tali “deliberazioni”)

    A questo andazzo si aggiunge l’ipocrisia nota con l’eufemismo di “disciplina di partito” che denota la pretesa che minoranze _interne_ si omologhino al consenso interno (cfr. grouthink) ed eseguano “spontaneamente” un mandato imperativo.

    Come nella barzelletta “Oggi non si fa credito, domani sì, venite dopodomani che pur sarà così”, con grande magnanimità talvolta si farcisce il tutto con “thought terminating cliché” che demandano “onorevole” conformismo in attesa dell’opportunità di “contendere” la linea politica o la leadership in qualche futuro congresso.

    Nonostante ciò è comunque possibile che tra i partiti di differente “disciplina” in una coalizione “_di_maggioranza_” ciascuno voglia esercitare la possibilità di veto a proposte “insoddisfacenti” : persino quelli minoritari in assenza di mediazione hanno la facoltà di optare per una “maggioranza” alternativa che possa esercitare la riserva di Assemblea (ammesso che sia effettivamente possibile convergere su una maggioranza alternativa che condivida tali riserve).

    Ricordando che in una legislatura vengano approvate centinaia di leggi le differenze andrebbero _certificate_ su ognuna di esse e non considerate in blocco per via dell’impossibilità di pervenire ad un consenso in un numero imprecisato di esse.

    Sarebbe il caso di investire fondi pubblici e realizzare strumenti utili a facilitare l’accessibilità di tali informazioni (per es. openparlamento un tempo utilizzava il “grafico delle distanze” per tracciare le “vicinanze” di differenti politici nelle votazioni).

    Poi ogni elettore non astenuto deciderà delle centinaia quante potenziali proposte di legge accettabili debba non mandare al macero ed a quante possibilità di veto debba non rinunciare un rappresentante in cui la fiducia sia ritenuta ben riposta.

    Si spera che siano poche le persone che considerino “sufficienti” solo mandati imperativi pedissequamente varati da maggioranze a-pluralistiche (il “tutto o niente” alla “winner-take-all”&”spoils” system).

    Potrebbe dirsi interesse “della Nazione” che non si rinunci almeno seguito a punti condivisi da una maggioranza rappresentativa più ampia possibile anzi dovrebbero essere i primi ad essere applicati (Thoreau non aveva dubbi a riguardo al massimo solo sarcasmo per essersi trovato con un decennio di anticipo rispetto alla futura maggioranza).

  2. FRANCESCO ROMANO scrive:

    Tra i rozzi interpreti della democrazia vige lo slogan che la democrazia si realizzi con il principio che “la maggioranza vince”.
    I teorici di questa idiozia non si rendono conto che in realtà così si sta teorizzando la legge della jungla.
    Questo, specie oggi, quando invece dei politici abbiamo i politicanti, cioè gli esperti dei trucchi e furbizie per vincere nel sistema politico / partitico, fa comodo ai vincitori
    – come Lei , tutto sommato adombra nel Suo articolo- .
    Infatti, per andare sul concreto, basta lanciare un’OPA sulle primarie di un partito importante, vincerle anche con il consenso degli esterni a quel partito, interpretando il ruolo dell’innovatore, conseguentemente diventando il segretario di quel partito, conseguentemente diventare l’unico candidato per la premiership, e quindi ottenerla, conseguentemente riempire tutte le società bene o male dipendenti dal “pubblico” (inclusa la RAI-TV e non solo ) di propri scherani, conseguentemente far fuori da ogni istituzione (compresa la RAI/TV e non solo ) quelli che si sono permessi di avere idee proprie, conseguentemente pretendere obbedienza da tutto il Partito, incluse le minoranze, conseguentemente incitare i dissidenti, etichettati come “gufi” o “nemici” all’uscita, conseguentemente pretendere di rappresentare l’unico centro-sinistra legittimo, conseguentemente fingere di voler tentare un allargamento, in realtà “solo elettorale” ai dissidenti e a quei “pontieri” la cui ipocrisia è solo commentabile, ma incalcolabile,
    conseguentemente accusare chi non ci sta di essere i colpevoli della sconfitta SEGNATA del centro-sinistra … e così via.
    MA DOVE SIAMO?
    E DOVE SIAMO ARRIVATI?
    Chi se ne frega, di chi sarà la “colpa ufficiale” della sconfitta del centro-sinistra.
    (non vorrei aprire una parentesi su come si faccia a conciliare il centro con la sinistra … ma lascio ad altri l’impervio compito, salvo che ai cultori dell'”all – catch – party”, i quali in questo caso si ispirano agli Stati Uniti, salvo sputar loro addosso quando non si trovano più a loro agio … , così come quando si schierano dietro le parole di Papa Francesco, per esempio sui migranti (con interpretazioni piuttosto “libere” e di comodo ) e salvo sputazzare la Chiesa, su temi scomodi come il matrimonio vs le unioni di fatto, l’eutanasia etc – ).
    Ma ci si rende conto che FORSE la sinistra perde perchè in tutta l’Europa il suo messaggio è fuori tempo?
    Perchè non si può fare politica guardando nello specchietto retrovisore, dei “bei tempi andati”,
    perchè non si può essere convinti che basti aver diffuso il “catechismo” del “politically correct” per avere diffuso un messaggio meritevole e positivo, e aver liberato le energie positive della società, mentre INVECE le hanno compresse,
    Perchè è il mondo di oggi, che va analizzato, non i cosiddetti “valori” o ” fondamenti” nati più di un secolo fa, che si tenta di applicare – e di forzare – alla realtà di oggi.
    Non vorrei entrare in polemiche e diatribe dirette.
    Io sono stato un esponente di sinistra oltre 58 anni fa, quando a Roma mi scontravo in Galleria Colonna (prima che diventasse malinconicamente e ingiustificatamente la galleria “Alberto Sordi”) con i missini, o come quando finivo in cella negli anni ’60 per “manifestazione non autorizzata” perchè avevo manifestato contro gli USA e per CUBA. Lo sono rimasto , in funzioni diverse, fino a 37 anni fa, ho sperato ancora e collaborato per anni che il vento della vera sinistra riprendesse ( ci ricordiamo il “vento del nord”, di nenniana memoria?), ma dal 1994 ho capito – forse allora solo intuito – che ormai la sinistra – o meglio – il partito che più pretendeva di rappresentarla – era apparentemente un simulacro di concetti, ma invece in realtà una terra di conquista per avventurieri. E da allora non la voto più.
    Mi piace dichiararmi, dirlo in chiaro, perchè innanzi tutto non si votano gli ipocriti che per mero calcolo elettorale hanno bruciato il mio partito , il PSI, e l’ultimo statista italiano, quel Bettino Craxi che io osteggiavo dall’interno, ma che non posso disconoscere sul piano storico.
    Per “tornare a bomba”: gli ipocriti che lanciavano le monetine a Craxi, cosa dovrebbero lanciare oggi ai Renzi , truffaldini eredi di una sinistra ormai ricattata ed impotente, o ai grillini, eredi del giustizialismo, ancora più oltranzisti di Mani Pulite e del “povero ” Di Pietro?
    E QUALCUNO SI DOMANDA PERCHE’ LA GENTE NON V PIU’ A VOTARE?
    Ma non è che per caso vi sta bene che non ci vadano?
    Provate a levarmi questa convinzione, se ci riuscite !!! …
    E posso solo ammirare coloro che ancora si impegnano con fatica intellettuale , sforzo anche fisico, ricerca pragmatica e politica, richiami teorici ed applicativi, come i Panda sopravvissuti. Ammirazione, solidarietà, ma convinzione che siano destinati all’estinzione – magari su commissione, come Trotsky.

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