Ma il problema non è affatto Renzi (che mi è pure simpatico)

Più e più volte mi è toccato di rispondere all’accusa di avere una pregiudiziale chiusura nei confronti di Renzi, e per questo non voterei più per il Pd e da lì me ne sarei andato. Ora, a parte che Renzi c’era anche quando ci stavo, nel Pd, e che quello di cui è capace l’abbiamo già visto, e questo dovrebbe un po’ indebolire la tesi del pre-giudizio, il tema della personalizzazione della politica credo che abbia un po’ preso la mano a tutti e che alcune dichiarazioni di politici per cui, tolto Renzi, il Pd quale alleato o direttamente come proprio partito andrebbe benissimo siano fuorvianti e diano un’immagine erroneamente stereotipata di tutto ciò che a sinistra del Nazareno si muove, per me il problema non è affatto Renzi. Anzi, lui mi è pure simpatico. È, invece, il Pd ad aver preso una strada che non condivido, che poi ha portato a Renzi due volte segretario a poco meno dell’unanimità.

Non per sorprendere nessuno, ma proverò a spiegarmi usando ad esempio le parole di uno di cui poche cose condivido e su di una vicenda che m’interessa appena più che nulla. Mario Monti, a proposito del voto alla Camera sulla irrituale e indiretta sfiducia al governatore della Banca d’Italia: «Non mi sono tanto sorpreso per l’iniziativa del capo del Pd. Sono stato, viceversa, molto sorpreso dal fatto che 213 deputati si siano sentiti di approvare quella mozione e che anche il Governo, pur con qualche modifica, l’abbia accolta». Ecco, qui è il punto, nel parallelo con le vicende generali di cui quella della mozione contra Visco è misura possibile. Il Jobs act, la Buona scuola, le trivelle à gogo, i bonus in luogo dei diritti, le risposte securitarie ai problemi di natura sociale, eccetera, eccetera, eccetera, non le ha volute Renzi e basta. Le hanno volute, sostenute e approvate tutti quelli del Pd che le hanno votate, quelli che lui hanno voluto alla guida del Pd e dopo che quelle cose le aveva già fatte e quelli che il Pd guidato da lui nel fare quelle cose votano e continueranno a votare. Per questo io non posso votare per il Pd o per qualche suo alleato; perché le sue politiche e quelle che farebbe sono quanto ho contestato in questi anni. Mica perché non sopporto Renzi.

Anche perché, se il Pd fosse della natura di cui credevo che fosse ai tempi in cui mi ci sono avvicinato e ho provato a impegnarmi in esso, cioè un partito che, come diceva, difendeva  quegli stessi princìpi che con le politiche di questi anni sono stati elusi, dimenticati, quando non direttamente derisi e vilipesi, Renzi nemmeno ci sarebbe arrivato al suo vertice. Invece, probabilmente, a sbagliare ero io, e tutti quelli che mi parlavano di cose che a me sembravano della stessa sostanza di quelle che pensavano, in realtà mi parlavano del loro contrario, solo che non capivo.

O forse, era semplicemente un loro modo per arrivare lì dove le cose si decidono, occupando, con poca o punta convinzione, ma con grande e mai saziabile volontà di potere e sete di affermazione e appagamento delle proprie ambizioni, l’unico spazio politico che gli altri, al tempo, lasciavano libero. In tutti e due i casi, non intendo correre il rischio di sbagliare di nuovo.

Tutto qui.

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2 risposte a Ma il problema non è affatto Renzi (che mi è pure simpatico)

  1. Italiote scrive:

    Intanto l’astensione avrebbe la conseguenza di favorire proprio coloro che vengono ritenuti insoddisfacenti: in elezioni senza quorum funzionale per “negare il proprio consenso” bisogna votare altre fazioni per modificare i rapporti di forza rispetto a coloro che continuerebbero a votare TALI vari soggetti politici.

    Anche una lettura distratta delle leggi elettorali dovrebbe consentire di accertare che la premura maggiore degli incumbent sia volta ad ostacolare principalmente tale possibilità sovrarappresentando alcune fazioni sulla base di requisiti decisi anche pochi mesi prima delle elezioni (sondaggi alla mano).

    Tanti anni di pressione per forzare logiche maggioritarie hanno portato a minimizzare l’importanza del pluralismo nelle dinamiche decisionali anche quando si può constatare che la “disciplina di partito” arrivi a sostituire deputati (di minoranza interna) nelle commissioni.

    Persino gli inglesi “bipartitici” riuscirebbero notare che le liste aperte (invece di quelle bloccate) consentano di fornire un indirizzo politico (cfr. “If the European Parliament voting system were changed to an open-list system, many voters would switch their support from UKIP to the Conservative party” LSE blog)

    Invece dalle nostre parti sembra si preferisca imbastire primarie con elevatissimi livelli di astensione (con l’aspirazione di renderle obbligatorie per legge) per poi pretendere che le minoranze interne si omologhino fino alle primarie successive oppure che vadano altrove a prepararsi per leggi elettorali “WINNER TAKE ALL”.

    Non dovrebbe essere difficile pervenire all’impressione che le prassi guidino il dissenso verso le strade dell’irrilevanza o dell’astensione.

    Un po’ come quei deputati che si dichiarino contrari a certe proposte di legge per poi astenersi invece di votare contro per alzare il quorum funzionale alla Camera.

    L’astensionsimo non ha il risultato di “negare il proprio voto” ma di neutralizzarlo.
    “Negare il proprio consenso” implica mutare i rapporti di forza.

    Riducendo una astensione che adesso sfiora il 50% potrebbero mutare (progressivamente) quei rapporti di forza per i quali si sono studiati certi (precisi) meccanismi premiali nelle leggi elettorali.

    Ma una simile eventualità non sembra rientrare nelle aspettative degli incumbent.

    PS: CUI PRODEST?

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