Così si rischia di dar ragione a chi parla di «uso politico della giustizia»

Delle sorti della Lega Nord, come immaginate, m’interessa meno di quanto possa essere utile alla storia dell’umanità sapere il colore del gatto che girava intorno al palazzo nobiliare d’una famiglia che nessuna traccia lasciò del suo passaggio nel tempo. Sempreché un gatto lì ci fosse mai stato, ovvio. Eppure, offre materiale di riflessione il fatto che a un partito si possano, quale misura cautelare, bloccare i conti correnti oggi per un reato finanziario fatto da una precedente segreteria, impedendone, in concreto, l’attività politica nel presente. Come non è da sottovalutare la circostanza per cui, ad esempio, la magistratura possa entrare nel merito delle scelte in tema di candidature, cosa che è successa in Sicilia, e prima ancora a Genova, al M5S, altro soggetto delle cui sorti mi preoccupo quasi quanto possa interessarmi conoscere il colore del maglio perduto della campana di una chiesetta abbandonata in un villaggio di cui non so e non cerco di sapere il nome.

In tutto questo, poi, succedono cose curiose. Fra queste, mi ha colpito ieri la scelta degli articoli sulla prima pagina del Corriere della Sera. Soprattutto, per l’associazione di tesi a cui potrebbero portare. Se da un lato si ammette, quale ipotesi, l’uso di indagini usate per colpire addirittura il vertice del potere politico, come pare voler dire la pm modenese rivelando testimonianze raccolte in precedenza e parlando, si apprende da indiscrezioni sulla sua audizione al Csm, di carabinieri «esagitati» e che, con le loro azioni, puntavano a colpire Renzi, nell’articolo in alto dedicato al “caso Consip”, allora rischia, in linea di principio, di poter aver ragione Salvini che, in quello sotto sugli sviluppo del processo che vede imputati l’ex segretario Bossi e il già tesoriere Belsito, adombra un uso della giustizia teso a colpire il dissenso. E però, e allora, se si postula che la giustizia possa essere piegata a fini politici, che sia per colpire il governo o le opposizioni, è la qualità della democrazia stessa a essere posta in discussione.

Scrivendo quest’ultima frase, mi sono accorto che, in fondo, il problema è forse più serio e magari più profondo. Perché se la giustizia può essere usata per colpire i potenti, ché governo od opposizione, in quello, pari sono, cosa può fare il piccolo, ultimo cittadino. Come può fidarsi? Come esser sicuro che possa esserci un giudice anche per lui, pronto a prender le sue difese quando dovesse subire un torto o un sopruso?

D’altronde, la magistratura è pur sempre Stato. E di sangue e schiatta, una cosa la sento da sempre, da prima che come singolo venissi al mondo: «C’è la grandine, le frane, la siccità, la malaria, e c’è lo Stato. Sono dei mali inevitabili, ci sono sempre stati e ci saranno sempre. […] lo Stato è più lontano del cielo, e più maligno, perché sta sempre dall’altra parte. Non importa quali siano le sue formule politiche, la sua struttura, i suoi programmi».

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