La Svizzera, il nucleare e la sobrietà energetica

Quasi il 60 per cento degli svizzeri, domenica 21 maggio, hanno deciso di abbandonare progressivamente il nucleare e hanno impegnato, con il loro voto in un referendum, il governo a approntare un piano entro il 2050 per aumentare l’energia elettrica prodotto da fonti rinnovabili e per disegnare norme finalizzate alla riduzione significativa dei consumi individuali.

Per dirla meglio, in Svizzera, sei cittadini su dieci vogliono consumare meno. Anzi, chiedono allo Stato di stabilire delle linee precise perché ciò avvenga senza che nessuno possa sottrarsi a questi obblighi di sobrietà. Non si è trattato solo di decidere se spegnere i reattori e accendere i pannelli, hanno proprio scelto di rendere più lieve il loro impatto sul pianeta. Spendere meno energia e, in definitiva, uscire dal ricatto della crescita identificata con il numero di cose e di risorse che bruciamo nel nostro cammino sul mondo. Perché di lì non si sfugge: per consumare meno bisogna essere più leggeri e più piccoli, insomma, decrescere.

E lo so che ora in tanti storceranno il naso e diranno che la decrescita è tutt’altro che felice, visto quello che abbiamo visto in questi anni di recessione. Ma, appunto, quella appena vissuta era recessione, cioè un vulnus all’interno di un percorso piegato al paradigma della crescita come unica possibilità di essere-nel-mondo dell’umanità. Invece, io parlo proprio di uscire da quel paradigma. Perché nel mondo in cui si è felici solo se si hanno cose non sempre e tutte necessarie e fatte per il mero consumo, allora non c’è via di uscita al produrre-per-bruciare.

In un altro, magari, le cose potrebbero essere differenti.

Questa voce è stata pubblicata in economia - articoli, libertà di espressione, società e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento