La necessità di riconoscersi nei rappresentanti

Una premessa: quanto sto scrivendo non vuol minimamente mettere in discussione le differenze abissali fra Macron e la Le Pen. Dico solo che sarebbe meglio di cercare di capire perché mai in tanti possano guardare a lei cercando qualcuno che si faccia carico delle proprie istanze e non a lui. Il problema è generale, certo, ma alle volte nei dettagli dei particolari se ne possono scorgere i segnali e le avvisaglie che spesso, se ignorati, ci travolgono alla fine (e dio non voglia in questo caso), lasciandoci più storditi che stupiti.

Prendiamo i fischi riservati a Macron dagli operai della Whirlpool: probabilmente, come hanno scritto alcuni commentatori, sono stati favoriti dalla mossa scaltra messa in atto dalla Le Pen presentandosi prima di lui e invertendo l’ordine della procedura di ascolto e approfondimento del problema messa in campo dal candidato di En Marche!; di sicuro, un ruolo forte l’ha avuto la circostanza per cui quella fabbrica sia situata ad Amiens, in quel nord francese da anni feudo elettorale del Front National; non è da escludere, infine, che lui abbia pagato colpe ed errori non suoi. Però c’è anche dell’altro: per esempio, io credo che l’immagine da buon borghese in alcuni ambienti aiuti poco, e se nei quartieri dove ci sono i ristoranti migliori per festeggiare in virtù di questa ti tributano successi insindacabili, nelle zone operaie dove un po’ di sane relazioni sindacali non farebbero male potrebbe, come accaduto, portarti solo delle contestazioni. No, non è un problema di “invidia sociale” o dovuto a qualche altra motivazione sentimentale (per quanto lo stesso candidato all’Eliseo, negli anni, non abbia fatto nulla per non indispettire quanti oggi dovrebbero farsi suoi sostenitori, anzi), ma potrebbe essere una questione squisitamente politica. Bisogna pensare che non tutti nelle urne vedono solo il modo per scegliersi un capo; vi potrà sembrare strano ma c’è pure qualcuno che le intende come un momento attraverso cui eleggere un rappresentante. E se nel primo caso basta la logica del “meno peggio”, nel secondo è necessario che ci si ritrovi, ci si riveda, ci si senta, appunto, rappresentati. Ecco, guardate lui e guardate loro.

Dunque, potreste chiedermi, stai dicendo che sarebbe meglio la Le Pen? Di nuovo: nient’affatto. Ma insomma, non puoi guardare il mondo dall’alto di un attico al Marais e poi sorprenderti se quelli che la sfangano nel basso della Somme, tra fabbriche che chiudono e servizi che diminuiscono mettendo in concorrenza chi cerca di accedervi con altri che stanno poco meglio o poco peggio di lui. Se a quanti lottano lì sotto spieghi che il problema non esiste o che comunque, qualora ci fosse, sapresti come affrontarlo, e glielo dici nel tuo bel vestito blu, col tuo accento perfetto e con un stile impeccabile, può succedere che essi non credano nel messaggio per la semplice ragione che non si riconoscono nel messaggero.

È un po’ come nel film Il momento di uccidere, con Samuel L. Jackson, Kevin Spacey, Sandra Bullock e Matthew McConaughey. Non so se lo ricordate, ma c’è un tale, Carl Lee Hailey, di colore, interpretato da Jackson, in una cittadina del Mississippi, che si fa giustizia da sé per le violenze indicibili subite dalla figlia, viene arrestato e mandato a processo. Sapete quella cosa curiosa, molto americana, per cui le parti possono ricusare alcuni giurati? Bene, togli uno, togli l’altro, rimangono tutti bianchi. Carl Lee li guarda e fa al suo avvocato: «e quella sarebbe una giuria di miei pari?».

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1 risposta a La necessità di riconoscersi nei rappresentanti

  1. m.fisk scrive:

    Una piccola osservazione: trattandosi di elezioni presidenziali, i francesi sono chiamati alla scelta di un capo, non di un rappresentante!

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