Se lo dicono loro

Ho più volte scritto su queste pagine che, essendomene andato, il congresso del Pd non è più affar mio. E poi, siccome rispetto una comunità politica quando sceglie il proprio leader e le sue strategie, non posso che prendere atto che quel partito, al novanta, novantacinque per cento, chiede azioni e soluzioni come quelle messe in campo in questi anni, dato che con queste percentuali nella fase interna ha suffragato Renzi e un ministro del suo governo che tutte le ha votate. Chiarito il mio punto di vista, spesso è inevitabile imbattersi con la cronaca di quell’evento, che riempie di sé fogli e fogli di giornali.

E così capita che vengano a tiro delle uscite che, sinceramente, sono così dure da far fatica a inserirle all’interno della dinamica di una stessa formazione. Per esempio, l’altro giorno il principale sfidante del segretario uscente ha twittato: «In questo @pdnetwork non conta chi sei tu ma di chi sei diventato il galoppino elettorale. Questo allontana il meglio da noi». Leggendo le parole d’Orlando un po’ mi sono stupito. Sta forse dicendo che solo in batteria si fa carriera nel partito di cui è diventato ministro e del quale ambisce a essere guida? Parla solo di quelli che stanno con gli altri o anche di qualcuno che sta con lui? E se, come dice, il meglio è allontanato da loro, chi sono quelli che sono rimasti vicini? Lo chiedo perché, nel frattempo, è per questi che anche lui chiede il voto quando ci sono le elezioni ed è fra essi che verranno scelte le proposte per le amministrazioni locali, i vertici regionali, le rappresentanze nazionali o europee. Se prendessimo seriamente le parole del titolare della Giustizia ci sarebbe da fuggire atterriti, con le mani al volto come su un ponte in un dipinto norvegese.

Per fortuna, non siamo a Oslo ma fra l’Alpi e Sicilia, in quel lembo di terra dove un mai troppo rimpianto Ennio Flaiano spiegava che la situazione poteva farsi grave, ma non di certo seria. Fra un Emiliano che parla di partito dei banchieri e dei petrolieri e un Orlando che accusa casa sua d’essersi fatta dominio di galoppini e galoppanti, Renzi s’avvia a imporsi, con i patrocinatori dell’uno e gli ammiratori dell’altro pronti a dimenticare queste fatali e irreversibili condanne e disporsi al sostegno delle sue decisioni.

Stupendosi, al contempo, del fatto che qualcuno possa non credere a qualsiasi cosa dicano.

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