Se quelli sono gli amici, dov’erano prima?

Giorni addietro m’è capitato di ricordare una vignetta di Altan di qualche tempo fa. In essa, un uomo seduto su una pietra circondata dall’acqua, triste e con lo sguardo significativamente spento, commentava: «Aspetto sulla riva del fiume. Vedo passare solo amici». In quel momento (e anche adesso, in verità), il disegno coglieva il mio sentimento legato alle vicende della politica che in questi giorni osservo accadere. E però, da solo, non sapeva e non può rispondere a una domanda.

Infatti, se quelli che passano ora lungo il fiume di sconfitte che osservo solamente da lontano sono i miei amici, e per loro mi dispiaccio, dov’erano quando, lungo le medesime acque e per ragioni non differenti, a scivolare ero io? Perché, vedete, non c’è alcuna voglia di rivalsa o perfido piacere nel guardare altri subire le sconfitte che già conosci. E ho premesso che il sentire che mi accompagna nell’assistere a un simile spettacolo è di profonda tristezza. Purtuttavia, non riesco a fare a meno di ricordare, e di vedere gli stessi volti sorridenti al desco del trionfatore di turno, mentre mi lasciavano lì, fra i vinti e i battuti.

Certo, dando la misura alle mie perdite so non esser quelle uguali alle loro: dopotutto, io ho al massimo perso la fiducia in quanti avevo votato, loro rischiano di veder sfumare i traguardi che, anche con quel voto, avevano conquistato. Eppure è così: sapete, al cuor non si comanda, nemmeno quando ispira motivi non nobili, persino se soffia su braci mai sopite nel tentativo di rintuzzarle e dar nuovo vigore alle fiamme e al fuoco.

Poi si resiste alla tentazione, per carità. Però.

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