Già, i professionisti sono loro

«Si ripiomberà nella prima Repubblica?», chiede Giuseppe Salvaggiulo a Gustavo Zagrebelsky nell’intervista per La Stampa di giovedì della scorsa settimana. «Potrebbe essere un’uscita non voluta ma subita», risponde il presidente emerito della Consulta. E poi aggiunge: «Con prospettive inquietanti che spetta ai professionisti della politica scongiurare. Se la Repubblica di Weimar è in vista, spetta a loro agire per evitarla».

Zagrebelsky coglie, non so quanto volontariamente, un punto sempre più discusso in questa stagione che sembra mai volgere al suo compimento: quello della qualità delle classi dirigenti, o almeno delle loro proiezioni nelle istituzioni della politica. Intimidatori a comando dalle colonne dei giornali su cui siedono da mesi spiegano che, non dando ragione ai loro paladini, il rischio è quello di finire in una situazione quale quella della Repubblica tedesca prima dell’avvento del nazismo. Per me è un’esagerazione, ma se, parafrasando il Maestrone con le parole del professore, Weimar già si scorge, spetta ai professionisti della politica agire per evitarla. O farsi da parte, per averci fin qui condotti e non riuscire a trovare soluzioni.

E guardate che quei professionisti, come dice il costituzionalista e come penso, più modestamente, io stesso, non sono solamente quelli di governo o maggioranza, ma tutti coloro che siedono in Parlamento. È lì che vanno cercate le soluzioni e sono loro che devono trovarle. Il settarismo di quelli che s’ostinano a precludere la via a ogni mediazione e compromesso è ugualmente responsabile dello stato delle cose quanto la supponenza di quanti non sono disponibili a discutere le proprie scelte mentre escludono intere parti della rappresentanza e molteplici istanze dei rappresentati dal novero delle possibilità percorribili.

Come dicevo, non credo che siamo a quel punto, ma in ogni caso, i professionisti sono loro.

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