Ma chi mieterà nel «campo progressista»?

Ho letto l’intervista fatta da Aldo Cazzullo a Giuliano Pisapia sul Corriere della Sera dello scorso venerdì 10 febbraio. E l’ho letta con molta attenzione, senza ironia nel dire questo e senza pregiudizi nel fare quello. Nonostante la disposizione comprensiva, per parafrasare le parole di Ingrao all’undicesimo congresso del Pci nel 1966, mentirei se dicessi che sono stato persuaso.

In sintesi, l’ex sindaco di Milano ritiene che la stagione delle larghe intese sia stata per il Pd solo un incidente di percorso dovuto all’esito elettorale, che Vendola e quanti dicono che non vogliono avere altri dialoghi o interlocuzioni con i dem sbaglino nel confondere Renzi con il Pd e che comunque, a precisa domanda del giornalista, il suo Campo Progressista vuole essere «l’embrione del nuovo centrosinistra; non possiamo stare con un partito di centrodestra. Rispetto Alfano, ma dai diritti civili alle politiche  per i giovani siamo diversi». Bene, concordo su un punto: è probabile che in molti facciano confusione fra il leader e la base di quel partito, e io stesso probabilmente commetto questo errore. Però, sul resto del discorso di Pisapia ho un dubbio che non posso smettere di nutrire. Cioè, non rischia lui di scambiare il Pd, quello reale, quello delle centinaia di parlamentari che hanno sempre votato come un sol uomo, quello degli amministratori e dirigenti locali che mai hanno contestato e contrastato nei fatti le larghe intese, quello dei militanti che, in fin dei conti, ciò che il partito faceva gli stava tanto bene da rimanervici iscritti ed elettori, con un’idea che lui ha ma che nei fatti non c’è? Non è proprio con Alfano che il Pd ha fatto gli ultimi quattro governi consecutivi, da prima dell’esito elettorale che ha creato quella che lui dice una “costrizione” all’alleanza e al di là della stagione renziana? Non è con lui e come il Nuovo centro destra che il Partito democratico, senza eccezioni significative, ha votato sui quei temi e quelle questioni che lui stesso giudica dirimenti, «dai diritti civili alle politiche  per i giovani»?

Perché, vedete, a me piacerebbe davvero confrontarmi con Pisapia e anche, se fosse possibile, provare a ricostruire quell’orizzonte politico a cui da tempo la sinistra e le forze di centro hanno lavorato in questo Paese. E pure «spostare il Partito democratico a sinistra», come sempre lui dice, è un compito interessante, a cui forse non m’interesserà più partecipare direttamente, ma apprezzabile e ambizioso. Eppure, le vicende degli ultimi anni, per me, non sono passate invano.

Quello che vorrei capire è chi e quali saranno i mietitori del campo progressista che Pisapia ci invita a seminare e coltivare. Il timore che siano i medesimi che hanno già colto i frutti delle intese larghe e durature con i centrodestra vecchi e nuovi, regalando a noi la pula degli arretramenti conservatori e dei diritti sociali sacrificati sull’altare dell’ineluttabilità responsabile, dopo averli sostenuti su valori e per programmi contrari, è forte e inevitabile.

Ecco perché, parlando di campi, contadinescamente diffido di simili chiamate in battaglia.

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