Il fatto è che a me gli uomini forti proprio non piacciono

«Deux géants comme eux qui se parlent, c’est le rêve du monde entier! Nous étions en guerre froide, avec l’arme nucléaire. La politique internationale a besoin d’hommes d’État forts comme eux», dice Beppe Grillo a Le Journal du Dimanche a proposito di Trump e Putin.  «Chi è legittimato a decidere non è un dittatore, perché se non prende decisioni consegna il Paese alla palude. Decidere è democrazia», diceva invece Renzi ai tempi in cui pensava che l’Italicum ce lo avrebbe copiato mezza Europa, disegnando uno scenario in cui la scelta del decidente era il nervo del sistema. Ecco, il fatto è che io non subisco per nulla la fascinazione del decisionismo, dell’uomo forte, del politico capace di imporre la sua volontà. E so di essere in minoranza (schiacciata minoranza, date le proporzioni in ballo e il tema in discussione), ma me ne farò una ragione.

Su La Repubblica di ieri, martedì 24 gennaio, Ilvo Diamanti commenta con puntualità un’indagine che conferma quell’impressione che la storia ci ha raccontato in centinaia e centinaia di pagine scritte sugli anni trascorsi: agli italiani, alla stragrande maggioranza degli italiani, l’uomo forte piace. Otto su dieci, per la precisione, ne vorrebbero uno alla guida del Paese. Con punte più alte fra i più giovani (notizia non nuova pure questa, almeno dai tempi dell’invocazione di quell’inno alla «primavera di bellezza») e tra gli elettori delle forze di centro destra, 97% per quelli di Forza Italia, sebbene anche chi guarda a Pd e M5S pensa all’uomo solo al comando con percentuali vicine all’80. Insomma (se si eccettuano quelli che si riconoscono nei partiti della comodamente definita «sinistra-sinistra», in cui il mito del comandante in capo affascina appena, si fa per dire, il 47% degli elettori), per la parte più consistente dei nostri connazionali, persino in chi solitamente dal votare si astiene, la soluzione ai mali dell’Italia sarebbe da ricercare nelle virtù taumaturgiche del capo. Difficile non sentirmi in esilio.

E difficile non sentire una punta di amarezza. Pensavo che l’illusione della semplificazione per via carismatica fosse, se non definitivamente tramontata, almeno sensibilmente ridotta, o comunque non maggioritaria così come la rileva il sondaggio di Demos; ma la democrazia è questa roba qua, se non sempre, di sicuro nella fase in cui piega alla demagogia. Speriamo avesse ragione Platone, che nonostante tutto ne salvava il senso per quanto corrotto con la tutela che se non altro in essa vi era della libertà.

Da parte mia, alla fiducia dell’ateniese ho da opporre secoli che mostrano drammaticamente il contrario, ma voglio sbagliarmi, per il bene di tutti gli otto dei dieci di cui son parte prim’ancora che per il mio. E all’altro che rimane, di più non resta che offrire un caffè in attesa dei tempi in cui saremo meno soli a percorrere la strada «in direzione ostinata e contraria».

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