Il “Mattarellum” che non t’aspetti

Da tempo, come scrivo su queste pagine, sempre più mi vado convincendo delle ragioni del proporzionalismo applicato ai sistemi elettorali. Le ansie da maggioritario che hanno accompagnato l’intero corso di questa Seconda Repubblica che pare volgere al disio, credo portino una parte importante delle responsabilità per lo stato in cui oggi ci ritroviamo a dibatterci. Perché? Perché il governo non basta.

Il mantra del quarto di secolo che abbiamo alle spalle è riassumibile in una sola parola: governabilità. Su quell’altare, si è sacrificato per prima la rappresentanza, e a seguire ogni brandello rimasto a dar senso alla partecipazione, che non fosse il semplice parteggiare per una squadra. In questo, io penso, sta la necessità di un ritorno a un meglio mirato rapporto fra il Paese e il Palazzo, a partire dalla proporzioni e dai rapporti fra le idee nell’uno e nell’altro, fra i rappresentati e i rappresentanti. Altrimenti, la sproporzione rischia di essere foriera di quel sentimento di distacco che, non di rado, si esprime in astensione e disconoscimento, per citare gli aspetti meno dirompenti della frattura.

Così, il ritorno al “Mattarellum”, temo, non porterà alcun beneficio nella situazione in cui siamo, e anzi potrebbe contribuire ad aggravare i problemi che i suoi sostenitori si ripromettono, attraverso di esso, di curare. Perché non è detto che garantisca l’omogeneità delle camere necessaria ad assicurare il governo di un partito o di una coalizione, perché non è assolutamente vero che ristabilisca, di per sé, il collegamento fra eletti ed elettori tradotto sulla base di una non meglio intesa “territorialità” (basti ricordare, per esempio, alcuni casi di candidature passate, Di Pietro in Toscana, Ayala in Basilicata, Gentiloni, sì, l’attuale presidente del Consiglio, in Piemonte, eccetera, eccetera, eccetera), e perché, con una situazione tripolare come quella che abbiamo, il vincitore nei vari collegi sarà suffragato, se andrà bene, mediamente dal 30-35% per centro dei consensi, con oltre i due terzi di quel territorio che dovranno sentirsi rappresentati da un rappresentante per cui non hanno votato.

E la soluzione sarebbe una legge proporzionale? Non so se e quanto risolutiva. Di certo, però, raffigurerebbe in modo più realistico e appropriato la situazione e le sfaccettature che percorrono la società, e che non si possono semplicemente velare sotto un meccanismo in grado di rendere maggioranza la migliore delle minoranze.

Il lavoro è complesso, le semplificazioni e le scorciatoie, come sempre, ingannevoli.

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