Avevo capito che proprio questo fosse il senso del vostro rinnovamento

Le vicende romane del M5S o quelle nazionali del Pd stanno sempre più riempiendo le pagine dei giornali e gli spazi nelle televisioni di gente che si spertica nel dire che, in Italia, c’è un problema di formazione e selezione della classe dirigente, politica, certamente, ma non solo, dato che le questioni che coinvolgono l’imprenditoria del Paese non lasciano trasparire riserve manageriali in grado di poter invertire la rotta d’una tendenza ormai sempre più, come si diceva un tempo, «di sistema».

Sono d’accordo, e la penso così da diverso tempo. C’è però una cosa che non mi è del tutto chiara. Io avevo capito, infatti, che proprio questo che abbiamo sotto gli occhi fosse il rinnovamento di cui tutti parlavano. Un’epoca fast and easy, in cui non perdere tempo con barbosi e lenti processi di formazione e selezione e dove bastassero le “leopolde” e i blog, invece che le fumose scuole di partito, e le primarie, nei gazebo o sulla rete, per designare e individuare eletti e dirigenti, senza quella fatica inadeguata quanto un gettone per l’iPhone di creare visioni e pensieri e costruire e organizzare il consenso necessario a inverarli nella pratica politica.

Evidentemente, ho inteso male, per fortuna. Rimane il fatto che ora qui siamo. E la vedo francamente difficile la via del ritorno indietro, che sarebbe poi un superamento in avanti, verso modi innovativi e radicalmente diversi di gestire l’esistente. Soprattutto, non vedo perché mai, una volta ottenuta la promozione anelata, l’élite divenuta tale per sottrazione dovrebbe mai resistere alla tentazione, per citare Carl Schmitt, di chiudere dietro di sé il passaggio per cui è entrata, «e trattare come un delinquente comune l’avversario politico, che forse bussa contro la porta chiusa con gli stivali».

Sempreché ci sia qualcuno che bussi, ovvio.

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