Un vento di conformismo gonfia le vele dei demagoghi

«La stessa scelta della senatrice Anna Finocchiaro come ministro per i Rapporti con il Parlamento dimostra la consapevolezza di doversi affidare a persone più preparate». Così il sempre interessante e mai banale Massimo Franco, nella sua nota politica sul Corriere della Sera dello scorso mercoledì 14 dicembre.

Non m’interessa prendere posizione sulle parole dell’editorialista di via Solferino, ma mi chiedo se con quelle egli non stesse forse dicendo che chi ha preceduto la Finocchiaro in quello stesso ruolo non fosse altrettanto compente. Che serviva, in buona sostanza, per svolgere quel compito una preparazione migliore di quella posseduta da Maria Elena Boschi. E allora, se così fosse, non potrei non porre un’altra domanda: perché tutte queste cose, lui e quanti oggi paiono scoprire i difetti che ieri non volevano fossero nemmeno enunciati, non le hanno dette prima, avendo, anzi, al contrario contribuito a creare quel clima in cui, al solo porre in dubbio le capacità della classe dirigente renziana, si veniva additati, se non di disfattismo, almeno di essere «contro il cambiamento» o addirittura, e nella specie, «sessisti»?

Sento opinionisti e politici sperticarsi in elogi alla compostezza e alla misura dei toni e dei modi di Gentiloni, laddove, gli stessi, fino a un paio di settimane fa osannavano la baldanza dell’eloquio e plaudivano all’esuberanza delle maniere di Renzi. Ed è difficile non notare che a esser cambiati non sono i giudicanti, né, immagino, i metri sinceri del loro giudizio, quanto esclusivamente il giudicato.

Prima era Renzi il presidente del Consiglio e il vincente; e quindi andava bene così com’era, senza discutere. Ora è Gentiloni; e di conseguenza è adeguato e perfetto così com’è, senza discutere. L’adeguamento perbenista che traspare da questi atteggiamenti e da queste repentine e radicali conversioni può suscitare ilarità negli spiriti più usi all’ironia, soprattutto perché non estenuati dalle questioni materiali. Però può anche generare e accrescere la rabbia in quanti vivono con difficoltà crescenti il loro quotidiano e che possono vedere in quelle, se opportunamente manipolate da voci interessate che certo non mancano, la conferma della tesi per cui gli esponenti dell’establishment volgono solo attenzione alle proprie comodità, pronti a sostenere chiunque ne garantisca la prosecuzione dei privilegi e a rinnegar per questo quanto detto e sostenuto fino all’attimo appena precedente.

Credo e temo al medesimo tempo che sia da ricercare in questo tipo di conformismo, e in quell’eterno «misto di abnegazione e opportunismo» che Moro scorse in Piccoli ma che facilmente s’adatta all’idealtipo predominante nell’odierno panorama, la ragione della debolezza del tempo che ci è toccato in sorte. E lo stesso vento di cui, per contrapposizione reale o simulata, indistinguibili negli effetti per quanto incomponibili nelle cause e nei fini, si riempiono le vele dei navigli di quei demagoghi usi alla guerra di corsa, più che alla pirateria ribelle.

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