Lo squadrismo contro la “casta” nemica del “popolo”

L’aggressione di cui è stato vittima davanti a Montecitorio l’ex deputato Osvaldo Napoli è la manifestazione del più bieco squadrismo a cui alcune frange di questo Paese da sempre son dedite a cedere. Mi stupiscono e preoccupano al contempo, oltre a tutto il resto, due aspetti particolari di questa vicenda. Da un lato, la poca forza con cui la questione è stata presa in considerazione dalle istituzioni, pronte a passare per le aule d’un tribunali chi osi ipotizzare a parole un diritto al taglio di reticolati, cedevoli nell’archiviare come «manifestazione non autorizzata» l’accaduto di mercoledì. Dall’altro, l’assoluta gratuità e casualità della scelta e del movente.

Le doverose (e non molte, in realtà, soprattutto dalla parte a cui sento d’appartenere; e questo mi dispiace) condanne dell’episodio, infatti, rischiano di non tradursi in nulla più che un’ammenda per gli artefici, e non è un segnale positivo. Ma l’altro aspetto, cioè l’accidentalità con cui Osvaldo Napoli è diventato vittima di un grottesco processo e arresto di piazza, è davvero angosciante. Lui è stato individuato quale “colpevole” (e mi è difficile persino scriverla, questa parola che metto tra virgolette) solo perché colto come componente della “casta”, e pertanto, nemico del “popolo”. Ora, quando in questi anni cercavo di dire che l’uso disinvolto di quell’espressione, “casta”, stava creando un clima infame, determinando l’immagine di una frattura cultura e antropologica, prima ancora che sociale, potenzialmente esplosiva perché percepita come incolmabile e incomponibile (“castale”, esattamente), intendevo proprio questo genere di derive. Invece, dai giornali voce della buona borghesia alle massime espressioni della politica, in tanti, troppi, non hanno esitato a fomentare quegli istinti che, in mano a capipopolo più o meno interessati e agiti su sentimenti di rancore figli d’un reale malessere, disegnano scenari dagli sbocchi difficilmente prevedibili, ma tutti oscuri.

A nulla serve, come pure su qualche giornale ho letto, dare oggi la colpa solamente ai toni esagerati delle «forze populiste». Perché non serve a risolvere il problema, appunto, e perché non è vero che solo loro hanno usato quei temi come argomento politico buono a riscaldare gli animi in cambio di voti o a seppellire le parti temporaneamente al governo e che s’intende sostituire sotto macerie di delegittimazione. E richiamare in causa i tempi bui dei sedicenti «tribunali del popolo» è fuori luogo e fuori contesto, mentre rischia di essere un’operazione “deviazionista” sul piano della verità storica e di cronaca.

Come ricorderanno i più attenti, è dalle pagine scritte da due giornalisti del Corriere della Sera che quella definizione è entrata nel lessico quotidiano con riferimento a rappresentanti e amministratori della cosa pubblica, ed è stato un refrain più volte ascoltato e letto nelle argomentazioni elettorali dell’ultima campagna elettorale condotta dalla maggiore forza politica e di governo nazionale.

Novelle Pandora, le élites italiane, ma si potrebbe dire “occidentali”, dato che è male diffuso, hanno pensato di poter tranquillamente, e spensieratamente, giocare con teorie e concetti rischiosi, una volta introiettati e creduti veri, per l’esclusivo scopo di screditare gli avversari sperando così di trarne vantaggi nelle urne. Solo che, da quello scrigno di parole, sono usciti spiriti incontenibili, che oggi imperversano per animi già stremati da difficoltà reali e pronti a reagire nelle forme in cui la loro disperazione consente.

Anche perché, come nel mito, la speranza è rimasta nel vaso richiuso.

Questa voce è stata pubblicata in libertà di espressione, politica, società e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento