Un’alternativa si trova sempre (come qualcuno pronto a dirla ultima)

E così, con il voto di fiducia al Senato dopo quello di martedì alla Camera, il governo Gentiloni da ieri è effettivamente partito. Buon viaggio, e speriamo sappia doppiare i capi e invertire le rotte che quello che l’ha preceduto ha mancato o ha sbagliato. Dopo l’augurio di rito, proviamo a fare il punto dello stato dell’arte sulle profezie dei millenaristi adepti della setta dell’ineluttabilità.

Ricordate il governo Monti? Bene; non c’erano alternative, tranne trovarle sostenute nei mesi appena successivi al voto che seguì la sua caduta da uno schema politico non differente. E quello Letta, che del primo prese il posto? Anche lì: «non ci sono alternative», proclamarono gli stessi che, nove mesi dopo, decisero che era tempo di dare corso a quell’alternativa che negavano. Nacque il governo Renzi e, nemmeno a dirlo, pure questo con lo stigma della necessità che non cede al possibile, in un amen mandato in gloria durante la crisi governativa più veloce degli ultimi anni (risolta per stare alle suggestioni liturgiche, nel breve volgere dell’Immacolata, o, si potrebbe dire se non si rischiasse di apparire eccessivamente sarcastici, superata in un tweet) e sostituito con quello che da ieri, si diceva, è pienamente operativo. Ora, quanti gli votano la fiducia spiega che l’esecutivo guidato da Gentiloni non durerà fino alla fine naturale della legislatura. Dal tono solenne con cui le pronunciano, addirittura nelle Aule del Parlamento, si sarebbe portati a credere alle loro parole, se non fossero gli stessi che pontificavano sui fatali destini dei precedenti.

Certo, può essere che si vada a elezioni anticipate (che in realtà sarebbero posticipate, visto che tutti le indicavano, a inizio legislatura, probabili quando non auspicabili per l’autunno del 2014 e la primavera del 2015), ma può essere altrettanto verosimile il contrario, che si arrivi tranquillamente al 2018. E magari, nel frattempo, che quello Gentiloni non sia l’ultimo esecutivo in carica in questa diciassettesima legislatura, come Renzi non è stato l’ultimo presidente del Consiglio a ottenere la fiducia dal Senato.

Dopotutto, i protagonisti son sempre gli stessi, immancabilmente presenti e, loro sì, ineluttabili.

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