La funzione del #JobsAct

Comunque è proprio vero, quando il gatto non c’è, i topi ballano. Anzi, i dati in questo caso. È bastato che Matteo Renzi si allontanasse per qualche giorno dal touchscreen del suo smartphone, ma solo perché a tutto poteva rinunciare Obama prima di lasciare la Casa Bianca tranne che a una cena con il nostro presidente del Consiglio, che le rilevazioni sull’andamento dell’occupazione segnassero un più sbagliato: quello dei licenziamenti.

«La spinta del Jobs Act», si legge nell’articolo che La Repubblica dedica alle rilevazioni dell’Inps, «e – soprattutto – delle decontribuzioni per le assunzioni a tempo indeterminato perdono vigore. E la dinamica del lavoro ne risente. Peggio: aumentano i licenziamenti “per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo”. In due anni sono passati da 35 a 46 mila: il 31% in più. Un dato che si spiega anche con la riforma del lavoro targata Renzi che ha cancellato l’articolo 18 allargando le maglie per le aziende». Giuliano Balestrieri spiega meglio il dato, ricordando che nel passaggio dal 2014 al 2015 questo è risultato essere «sostanzialmente invariato, il boom (+10mila licenziamenti) si registra proprio negli ultimi 12 mesi. Le norme del Jobs Act, infatti, si applicano solo agli assunti dopo l’entrata in vigore della riforma». Insomma, per dirla in renziano stretto, «il #JobsAct funziona»: era stato pensato per eliminare tutte le pastoie, dicevano loro, le tutele, pensavamo noi, che impedivano alle aziende di licenziare liberamente, e adesso quelle, semplicemente, lo fanno.

Altra considerazione triste va fatta sulla circostanza per cui, calato il doping alle assunzioni in forma di sgravi fiscali, il cavallo abbia smesso di bere, e il sistema industriale ed economico di assumere. Quasi un terzo in meno sono stati i nuovi contratti a tempo indeterminato stipulati nei primi otto mesi del 2016 o le trasformazioni da contratti precari. Certo, va ricordato che quel doping di cui si diceva aveva accresciuto il dato 2015, per la gioia dei governativi twittatori seriali, ma è da notare come, nello stesso periodo, sia cresciuto di una percentuale paragonabile il ricorso ai voucher per i pagamenti di prestazioni di lavoro accessorio.

Stringi, stringi, chi vedeva un futuro più precario per tutti non si sbagliava poi di tanto.

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