Ma chi ne ha voglia

«Visto i tuoi amici che hanno votato la Raggi? Adesso ne godono l’incompetenza». «Dici? Guarda che avrei votato pure io per lei se fossi stato romano: tutto, fuorché voi. E sono pronto a farlo, appena ne avrò la possibilità». «Ma sei impazzito, non vedi quello che combinano?». «Ovvio che lo vedo, non sono cieco. Ma ho visto anche quello che avete fatto voi col mio voto, e non mi è piaciuto affatto, anzi, era proprio il contrario dei motivi per cui ve l’avevo dato».

Il siparietto (reale) che ho riportato, fra un militante e un ex militante Pd, è indicativo di una serie di cose che sono successe in questi trenta mesi celebrati con tanto di slides commemorative. La frattura fra un certo popolo e la sua consueta rappresentanza politica s’è prima determinata in virtù di scelte, come dire, eccessivamente eterodosse rispetto alla tradizione, poi allargata, sospinta dai colpi del «vi asfaltiamo», «siete inadeguati, come gettoni per un iPhone», «noi siamo il nuovo, voi i tristi gufi rosiconi responsabili dei disastri del Paese», vibrati da potenti che confondono il governo con il comando e ripetuta ossessivamente da una classe dirigente formatasi per sottrazione. Il risultato, come nella replica di uno dei due amici di sopra, è che per molti ex elettori e attivisti di quella parte politica, tutto è meglio, purché sia altro.

Ora, personalmente non ho dovuto votare alle amministrative della passata primavera, e ritengo, come ho già avuto occasione di scrivere, che se la scelta fosse stata, come è accaduto, fra un partito in cui ho smesso di riconoscermi e un movimento nel quale mai potrei ritrovarmi, avrei con ogni probabilità lasciato ad altri l’onere della decisione, riservando per me uno scampolo di spiaggia, l’ombra d’un bosco o le pagine d’un buon libro sul divano di casa. Rimane però aperta la questione, per quelli che nello schema dato non si ritrovano, sul come evitare che si passi dalla padella di politici che tutto vogliono fare tranne caricarsi della rappresentanza delle loro idee alla brace di apprendisti politicanti, buoni a far da coreografia allo stato pietoso delle cose nostrane.

Certo, si potrebbe lavorare per costruire qualcosa di nuovo, di diverso, di maggiormente in linea con la propria visione del mondo (che bello quando si poteva dire “ideologia” senza che qualche critico in cerca di visibilità ne spiegasse la fine, garantendone invero l’esistenza). Si potrebbe, ovvio; ma chi ne ha ancora voglia.

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