Il senso di Dario per il vento

Secondo Franceschini, come ha detto nell’ultima riunione della Direzione nazionale del Pd, lo «schema» attuale della politica, in Italia come in Europa, vede da una parte le forze populiste, e dall’altra quelle «sistemiche», tra cui, ça va sans dire, quella a cui lui appartiene e che governa il Paese. Uno scenario, ha spiegato il ministro, in cui poi si verificano fenomeni diversi, da Trump alle presidenziali in Austria passando per il M5S e le amministrative, dove tutto ciò che si muoveva in opposizione alle forze di governo si è coalizzato nel sostegno agli “antisistemici” nel voto cittadino.

L’analisi, ovviamente, non è nuova, e ha dei tratti ampiamente condivisibili insieme a delle forzature ideologiche che mirano a giustificare una tesi; come per tutte le ipotesi e i ragionamenti di ognuno, d’altronde. Quello che ha suscitato la mia attenzione, però, è un altro aspetto del discorso di Franceschini. Parlando della situazione appena disegnata, l’ex vice di Veltroni ha detto: «Se siamo dentro questo schema, e io penso che questa riflessione dobbiamo iniziare a farla, la coalizione che oggi governa il Paese, è ancora un residuo di “grande coalizione”, cui via via si sono staccati i pezzi, o invece è qualcosa che è più dentro questo sistema, e cioè il modo per tenere insieme, attorno a un progetto di governo, forze che sono contro il populismo? Al di là dei nomi, […] io penso che siamo dentro questo schema, e che dobbiamo abituarci che lo schema nuovo è “populisti/sistemici”, e noi dobbiamo chiaramente cercare di aggregare quelli che sono contrapposti, in varie forme e con varie storie, al populismo, che in Italia si manifesta in forme diverse e tende facilmente ad aggregarsi».

Siccome, ha aggiunto, lui pensa che, per il Pd, l’alleanza con il centrodestra (vecchio o nuovo poco cambia, se facce e politiche son le stesse) non sia una transizione, ma una prospettiva, non è peregrino, ha spiegato, trovare nella legge elettorale «uno spazio per far esistere le coalizioni». Ha parlato di coalizioni di centrodestra e centrosinistra, certo, ma se lo leghiamo al suo schema «populisti/sistemici», allora potrebbe voler dire trovare un modo per favorire che le forze contrarie al nero periglio che viene dal basso si uniscano nella battaglia per il bene. Il loro, s’intende.

Perché, perdonate l’accento, questo sì, “populista”, a me tutta ’sta roba sembra detta per dir altro. Insomma, lo stesso Franceschini ha ricordato di come funzionò da collante Berlusconi per la nascita dell’Ulivo e di quanto questa fu favorita dalla volontà di contrastarne il potere. Ora, lui dice, si dovrebbe fare altrettanto contro i «populisti». È solo che, io penso, questa non nascerebbe tanto per contrastare un potere, ma per paura di perderlo.

In questo il senso di quel “loro”, ben colto da quello di Dario per il mutar del vento.

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1 risposta a Il senso di Dario per il vento

  1. Enrica scrive:

    Franceschini è un vero maestro nel cogliere il mutar del vento.
    In tempi non sospetti, quando lo chiamava “vicedisastro”, Renzi disse: “se vuoi sapere dove sta la maggioranza, guarda dove è seduto Francrschini”. Fino ad ora il caro Franceschiello non ha mai sbagliato un colpo.

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