La paura c’è, ma il terrorismo non c’entra

Prim’ancora che i dati dell’Istat confermassero una frenata nelle aspettative di crescita per il nostro Paese, il ministro Padoan aveva già messo le mani avanti: “se una contrazione della ripresa dovesse esserci”, è la sostanza del suo ragionamento, “sarebbe una conseguenza dell’effetto possibile del terrorismo sugli indici di fiducia di consumatori e imprese”. Io penso, invece, che fra le tante colpe di quei criminali, questa non ci sia.

È però vero che una certa contrazione della fiducia potrebbe essere registrata, e che ciò potrebbe influire sulla crescita. Solo che, a differenza del titolare di via XX Settembre, quella poca fede nelle magnifiche sorti e progressive dell’azione del Governo le collego ad altri fattori. Per esempio, al fatto che lo scorso anno ha visto sì qualche margine di miglioramento della situazione economica generale, ma questo si è registrato solo all’attico, non certo in portineria dell’edificio sociale italiano. Oppure, e ancora, al dato comunicato con scientifica durezza dal presidente dell’Inps Boeri (scelto da Renzi e non credo certo in una nidiata di gufi), secondo cui i trentenni e quarantenni di oggi andranno in pensione, se ci andranno, intorno ai 75 anni d’età, con un assegno, quando l’avranno, di un quarto inferiore ai pensionati attuali. E non credo parlasse di “casi limite”, ma, temo, delle migliori eccezioni.

Ecco, perché quelli che non hanno beneficiato finora degli effetti sbandierati negli slogan governativi, dovrebbero credere che sarà diverso e migliore il futuro? Cosa potrebbero spendere per far crescere i consumi, dato che nulla hanno avuto? E perché i coetanei del premier, anche quelli con un lavoro, pure gli assunti a tempo indeterminato, dovrebbero essere fiduciosi e speranzosi, se sono vere quelle proiezioni del presidente dell’istituto di previdenza? E se lo fossero così tanto da usare i loro soldi oltre lo stretto necessario, non esiterei a definirli folli.

Prendiamo un “quarantino”, per dirla alla Camilleri, con un impiego non proprio precario ma non definitamente sicuro, che ha davanti a sé ancora una trentina d’anni di lavoro e la quasi certezza di finire i suoi giorni con una pensione poco sopra i limiti della stretta sopravvivenza, perché non dovrebbe cercare di mettere da parte tutto quello che può? Perché non dovrebbe aver paura? Perché non dovrebbe cercare di risparmiare ogni singolo centesimo per consumi non indispensabili?

«Quanto ai poveri, essi mangiano pan solo, tutto l’anno, condito qualche volta con un pomodoro crudo spiaccicato con cura, o con un po’ d’aglio e olio, o con un peperone spagnolo, di quelli che bruciano, un diavolesco». Per me, un insegnamento, come dire, “genetico”.

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