Mi piace il presepe

La polemica scatenata sui e dai giornali di destra e alimentata da politici diventati leader solo per assenza di concorrenti alla notizia che in una scuola del milanese non si sarebbero tenuti i festeggiamenti per il Natale, con tanto di annullamento di consuete recite e realizzazione del solito presepe e dimissioni finali del preside, era così facile da prevedere che non dà diritto ad alcuna menzione l’averlo fatto. Stavolta, però, voglio provare a stare dalla parte di chi difende il “così si è sempre fatto”.

Hanno infatti ragione quelli che in nessun modo vogliono rinunciare al presepe. “Rappresenta la nostra tradizione”, sostengono, e non hanno per nulla torto. Quel piccolo allestimento, inventato da un frate che fece del vivere in povertà la cifra della sua fede, narra le vicende di una famiglia costretta a lottare contro la miseria, di migranti e di perseguitati (clandestini, direbbero quegli stessi politici e quei medesimi giornali), che occupò una stalla (abusivamente, immagino; roba che da far urlare quelle gazzette all’invio della forza pubblica per lo sgombero), per fa nascere il proprio figlio col fiato degli animali come unico riscaldamento (che intervenga l’ufficio igiene!), e che sopravvisse in quei giorni grazie ai doni e all’aiuto dei pastori e dei magi (gente usa a falsi buonismi, presumo).

A me il presepe piace, al di là della religione. Ritengo rappresenti davvero la nostra tradizione, o almeno quella da cui vengo. Una tradizione fatta di miseria e paura, fame e fughe, soprusi e vessazioni subite. E mi piace quel racconto che vuole un dio disposto ad onorarla, tanto da nascere lì e non altrove nel suo farsi uomo.

Ho dei dubbi che quel medesimo dio oggi respingerebbe, sgombererebbe o non aiuterebbe quelli che, come lui, fuggono, quanti, come i suoi, occupano senza titolo locali adibiti ad altro per vivere, coloro che, come la sua famiglia, possono contare solo sull’aiuto degli altri per sopravvivere. E lo so perché ce lo ha detto lui stesso: «Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,  nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito?  E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?  Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Matteo, 25, 34-40).

Ecco, allora, chi è che non rispetta quella tradizione?

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