Se la crisi è finita, vogliamo i soldi

“Per noi è un capitolo chiuso”. E poi: “Non abbiamo margini di manovra per poter proseguire un colloquio sui contratti nel modo tradizionale”. E ancora: “Le posizioni del sindacato prima di tutto sono irrealistiche sul piano monetario e poi anche per il futuro del nostro Paese”. Così Giorgio Squinzi, parlando delle trattative sui rinnovi contrattuali a margine di una riunione di Assolombarda.

Ma come, l’Italia riparte, e se i lavoratori chiedono qualcosa pure per loro sono “fuori dalla realtà”? Insomma, se la crisi è finita, e lo dice il premier e tutta la maggioranza, e plaude il presidente e tutta la Confindustria, cosa c’è di “irrealistico” nelle richieste di quanti vorrebbero vedere un po’ di quella ripresa concretamente, in solido, diciamo, realizzata? Vorrete mica dar ragione a gufi, rosiconi e disfattisti? E andiamo, dicono che possiamo far meglio della Germania, facciamolo. Perché io voglio credere alla narrazione, pardon, allo storytelling dei potenti, e dunque, se c’è la ripresa, sciur padrun da li béli braghi bianchi, fora li palanchi (ch’anduma a cà), o all’americana, che è più cool, ehi boss, pay me my money down (anche se non credo che un brano così ci sia nella hit parade della Leopolda).

E poi, il Governo non dice nulla? Aveva tolto l’articolo 18 e giubilato lo Statuto dei lavoratori proprio per non dare alibi agli imprenditori, affermava, ora lascia loro trovar pretesti pur di non dare soddisfazioni a chi lavora? No, non posso crederci. A meno, ovvio, di non voler alimentare il sospetto che fra gli uni e l’altro, fra gli industriali e l’Esecutivo stia andando in scena un gioco delle parti, in cui puntare a non trovare l’accordo con i sindacati per dar la possibilità di intervenire con la forza della legge. Ma sarebbe assurdo, no?

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