Un po’ m’è dispiaciuto

“Un referendum non si può inventare su due piedi raccogliendo le firme tra luglio e agosto. Va pensato e preparato bene. In questa fase è prioritario il momento della proposta. Noi preferiamo costruire la nostra mobilitazione avendo alle spalle una proposta forte, quella del nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori. Oppure, per la scuola, un progetto serio e nuovo di riforma. I referendum allora potranno essere uno strumento utile a sostenere le nostre battaglie”. Lo ha detto Susanna Camusso in un’intervista al Manifesto lo scorso 25 luglio, e leggere quelle parole, un po’ m’è dispiaciuto.

Chiariamoci, la segretaria generale della Cgil ha espresso una sua opinione che è legittima e rispetto, e non direi mai che l’abbia presa alla leggera, “su due piedi”, perché non banalizzo in questo modo le idee altrui. Allo stesso modo, credo che non sia stata una presa di posizione estemporanea la sua apertura di alcuni mesi fa all’ipotesi di referendum contro la legge Fornero proposto dalla Lega. Questo perché ritengo che, se uno condivide un obiettivo, tipo l’abolizione della figura del preside-manager, l’eliminazione della possibilità di demansionamento unilaterale, il ripristino delle tutele nei casi di licenziamenti collettivi al di fuori delle norme o, appunto, la cancellazione di alcune prescrizioni della normativa pensionistica, vota e agisce perché si realizzi. Ecco perché può capitare che la Camusso apra a un’iniziativa portata avanti da Salvini; perché, nel merito, non si discute dell’ideologia di un movimento, ma di un punto specifico, sul quale si può essere d’accordo.

Ed ecco perché un po’ di dispiacere l’ho provato leggendo quell’intervista. Non certo per partito preso, intendiamoci: la Camusso è la segretaria generale dell’organizzazione sindacale a cui sono iscritto. Proprio per questo mi chiedo: non parlava quel sindacato dell’irricevibilità dell’incremento di poteri ai dirigenti scolastici, fino a prevedere la facoltà di chiamata diretta degli insegnanti dagli elenchi degli abilitati? Non avversava la possibilità che il datore di lavoro potesse assegnare a mansioni diverse e inferiori senza possibilità di discussione da parte di lavoratori e sindacati? Non si dichiarava preoccupato dalla riduzione delle garanzie di sicurezza nei casi di licenziamenti collettivi? E allora, perché vede di cattivo occhio dei referendum che proprio in quella direzione vanno?

Dire che ci vuole un progetto di riforma serio e proposte forti è giusto, quanto fuori contesto. Lo strumento referendario in questione si propone di cancellare alcune cose, non di disporne di nuove. Quella è un’azione necessaria, ma non c’entra con ciò di cui si discute adesso. Aspettare di avere tutte quelle cose e la possibilità di concretizzarle prima di procedere all’abrogazione delle parti delle leggi che non ci piacciono, significa tenersi quelle che ci sono finché non si avrà forza e modo di imporne altre. E potrebbe essere fra tanto tempo, perché le richieste, sottoscritte da mezzo milione di cittadini, devono essere presentate entro il prossimo settembre se si vuole votare nella primavera del 2016, altrimenti si va al 2017, forse, difficilmente al 2018 (ché se ci sono le Politiche, non si tengono referendum), oppure al 2019. Nell’attesa, i presidi sceglieranno gli insegnanti, i demansionamenti saranno inappellabili e i licenziamenti collettivi più leggeri per le imprese e pesanti per i lavoratori.

Possiamo permettercelo? Non lo so. O meglio, io credo di no, e per questo ci provo. Un po’ quello che feci quando intercettai alcuni amici che raccoglievano le firme per i referendum sull’acqua pubblica: condividevo la tesi e l’obiettivo, ho dato una mano per quel che potevo, senza stare a guardare chi l’avesse proposto o se quei quesiti potessero servire da “annunci velleitari ad uso mediatico” (come se qualcuno potesse pensare di poter “mettere il cappello” su una roba che, per essere valida, deve vedere la partecipazione, e poi il consenso della relativa maggioranza, di almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto). E così, quando ho letto che Paolo Carsetti e il Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua, pur condividendo la battaglia contro alcune storture dello Sblocca Italia, chiedeva a Possibile di “ritirare la propria proposta” referendaria, mi sono stupito. Anche qui la domanda è la stessa: si condivide la richiesta di impedire le trivellazioni in mare e quelle in terra senza possibilità di opposizione e intervento da parte delle comunità locali, oppure no? E non lo dice solamente un soggetto politico nascente, ma anche associazioni come Green Italia, che infatti han dato una mano nell’elaborazione dei quesiti e sostengono ora l’iniziativa. Attendere, potrebbe significare veder sorgere trivelle al largo delle coste o al centro delle valli in molte aree e territori.

Ovviamente, il ragionamento può essere ripetuto per quelli sulla legge elettorale, che si ripromettono di eliminare l’Italicum o togliere di mezzo quelle disposizioni che in tanti criticano; possiamo provare a cambiarlo, oppure aspettare che si voti con quel meccanismo. Quello che non si può fare, perché non rende giustizia principalmente a chi lo fa, è dire che le cose proposte sono “annunci velleitari” o inventate “su due piedi”: la banalizzazione non è mai corretta, e spesso si presta a essere letta come la chiusura preventiva a una proposta, e solo perché arriva da qualcun altro.

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