Sì, ma noi?

Se c’è malcontento per la sistemazione di profughi in alloggi popolari, arrivano quelli della Lega. Se in periferia capita che uno straniero investa qualcuno, si precipitano quelli di Casa Pound. Non c’è emergenza sociale o fatto di cronaca, soprattutto se con una potenziale forte carica emotiva, in cui gli imprenditori nostrani del risentimento e del rancore non colgano l’occasione per valorizzare il proprio core business.

A Treviso, a Roma, a soffiare sulla brace del disagio per farne protesta dai toni razzisti, fascisti e xenofobi d’Italia erano tutti lì, in prima fila, con le magliette slogan e i tatuaggi ben in vista. Tristemente vero e maledettamente preoccupante. Ma tutti gli altri? I portatori di un pensiero diverso, i sinceri democratici aperti al dialogo e alla convivenza, quelli convinti che non sono i migranti o gli ultimi fra gli ultimi il problema e non possono essere i rigurgiti tirati fuori dalle pulsioni più basse la soluzione, dove sono? Noi, dico, io, voi, dov’eravamo? Dove siamo?

Perché il rischio che vedo sempre più concreto è che a narrare l’unica versione sullo stato delle cose a una certa parte del paese reale, sia sempre e solo una parte, per giunta la più preoccupante. Ora, escludendo le innumerevoli iniziative di associazioni e partiti, che per quanto esistenti, hanno sempre l’aria di essere episodiche e mai organiche, penso che una diversa narrazione manchi proprio lì dove i fatti avvengono.

Come dire, parlare dei problemi non è proprio come parlare con chi li vive. Noi (sto generalizzando, certo, ma non credo d’essere così lontano dal punto preciso della questione), quelli che stanno a sinistra, un po’ corriamo questo pericolo. Ricordate l’invito a lavorare “casa per casa, azienda per azienda, strada per strada”? Beh, l’abbiamo ignorato. O almeno non lo abbiamo accolto e portato con maggior forza lì dove sarebbe stato necessario spenderlo, nelle periferie, nei quartieri poveri, nelle zone difficili.

In quei luoghi, chi ci vive o non ascolta nessuno, o sente gli unici che si presentano. E se non siamo noi quelli, la colpa non è di chi vorremmo ci ascoltasse.

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