Είμαι Έλληνας

Io sono greco, oggi. Lo ero ieri, quando votavano. Lo sarò domani, quando qualcuno cercherà di far loro pesare quella scelta. Είμαι Έλληνας, come direbbero ad Atene, e non solo perché sono nato dalle parti di quella che una volta era tutta Μεγάλη Ἑλλάς, ma per l’esempio che quel popolo ha dato, pur fra le mille difficoltà del passato, gli affanni del presente e le preoccupazioni per il futuro.

Mentre i ricchi potenti seguiti dal codazzo dei politici arricchiti (e alcuni davvero così squallidi da vedere in quello che sta avvenendo in Grecia solo le file ai bancomat, evidentemente usando, per fondare il proprio giudizio, l’unico metro conosciuto: le banconote) si sono affannati a spiegare agli elettori ellenici che con il “no”,  όχι, si sarebbero scatenate mille e mille piaghe e pestilenze, e che solo il “sì”, ναί, avrebbe aperto i cordoni della borsa (immaginando di poter determinare un esito elettorale con proclami a metà fra un tentativo di concussione e una proposta di voto di scambio), questi hanno dimostrato, e con i fatti, che la libertà si pratica soprattutto quando è più difficile farlo, e che serve anche a un popolo, quando necessario e se δημοκρατία ha ancora un senso, per dire a quanti cercano di ricattarlo con la forza dei soldi (che è la prosecuzione della violenza armata d’altri mezzi): “meglio poveri che sudditi”.

Ma c’è di più. Yanis Varoufakis, accusato di esser il limite nelle relazioni Grecia-Unione europea da una certa narrazione interessata, stamattina s’è dimesso, nonostante abbia ottenuto proprio con il responso del referendum il sostegno popolare per il lavoro fin qui fatto. Lo ha fatto come mossa strategica di grande sostanza, per aiutare Alexis Tsipras nella trattativa, togliendo comode scuse a chi su di lui concentrava le critiche, e lo ha fatto con stile, rivendicando che porterà sempre “con orgoglio il disgusto dei creditori” nei suoi confronti.

Quella del “no”, poi, è anche l’affermazione di un “pensiero meridiano”. Lo spirito dell’Europa odierna è giunto a un estremismo così spinto nel credere alla razionalità delle scienze degli uomini, e fra queste e per prima dell’economia, che essa “non filosofeggia più a colpi di martello, ma di cannone”. Il “pensiero tedesco” ha imposto una visione ormai accettata da tutti, e non messa in discussione da nessuno per paura di perdere le piccole vane certezze, e che vede la cultura dominante nel Vecchio Continente “lanciata alla conquista della totalità”, “figlia della dismisura”.

La lezione dei cittadini ellenici, in questo, ha una valenza doppia. Ci dice che le cose che contano davvero sono “sempre lì”, e che “alla follia degli uomini” queste contrappongono “i cieli calmi e le proprie ragioni”. Contemporaneamente, quella “rivolta” ai dogmi ipostatizzati dei banchieri di Francoforte, porta a una riconsiderazione del limite e della misura, e ad “ammettere l’ignoranza, rifiutare il fanatismo, por limiti al mondo e all’uomo, il viso amato, la bellezza insomma; è questo il terreno su cui ci ricongiungeremo ai greci”. Nel ritorno, in sintesi, a quella misura che “non è il contrario della rivolta. La rivolta è essa stessa misura: essa, la ordina, la difende e la ricrea attraverso la storia e i suoi disordini​”.

Sì, in questi ultimi due paragrafi ho giocato con Albert Camus sulla strada del ragionare a Mezzogiorno. Però è così, con quel senso della misura, che a me sembra che i greci abbiamo trovato il coraggio per opporsi a quanti celebrano le proprie miserie tenendo in conto nelle loro vite solo quel che si può contare.

La Grecia adesso è lì, come il Pugilatore di Lisippo. Fiera nello sguardo, stanca per la battaglia a lungo combattuta eppure pronta a farne altre. Che non saranno meno dure, questo lo sa. A essa e al suo popolo io devo molto di più di quel che può stare nelle colonne delle contabilità finanziarie: l’esempio, appunto, la lezione e la via che ora indicano, come quelle che in antichità segnarono.

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