Dell’essere “sempre contro” e altre banalità

“Però, non si può essere sempre contro tutto come te, sembra che non ti stia mai bene nulla, per partito preso, per impostazione ideologica”, mi dice un amico, recentemente scopertosi “di sinistra” dopo che per anni ha giudicato quella la parte originaria d’ogni male e da tempo critico sul mio essere critico rispetto al governo Renzi. Un’affermazione come altre che si sentono ripetere spesso in questa stagione di pensiero conformato, e spesso rivolte a qualsiasi eccezione o presa di distanza dalla maggioranza di turno, con la curiosa circostanza che chi le ripete, quasi sempre, è parte di quelle maggioranze, a ogni turno.

Sembra una tesi di buon senso, non c’è dubbio. Se non fosse che, spesso, non è vera. Prendiamo il mio caso: non mi ritengo affatto uno “sempre contro tutto”. Al massimo, uno che ad alcune cose è contrario da sempre. Per esempio, ero contrario all’abolizione dello Statuto dei lavoratori, al finanziamento pubblico per le scuole private e alla chiamata diretta dei presidi, alle riforme istituzionali di natura governista e a scapito della rappresentanza prima, e lo sono ancora adesso. E se alcuni possono mutare opinione in relazione alla circostanza che quelle cose le faccia o meno il proprio partito, io credo che se un partito fa le cose che ritengo sbagliate, allora non è più il mio.

“Troppo facile: quando le cose non ti stanno bene, te ne vai”. Altra risposta che mi viene data da quell’amico. Ma pure qui, le cose non stanno proprio così. Non è che me ne vado ogni qualvolta incontro un problema; è che, però, quando si prova cambiare le cose e non si riesce, a volte si capisce che è inutile continuare a tentare. Soprattutto quando, rispetto alle cose che vengono fatte, non si ha una posizione “minoritaria”, che si accontenterebbe di farle in maniere un po’ diversa, ma proprio “oppositiva”, per cui si è radicalmente contrari a che vengano fatte. E si può fare la minoranza stando in un partito, non l’opposizione.

“Ma se tutti fanno in questo modo, allora chi ci rimane?”. E qui non sono riuscito a trattenermi dal rispondergli: “tutti quelli che la pensano allo stesso modo, data la concezione della democrazia che sta emergendo. E poi, scusa, tu perché non entri e dai una mano da dentro a quello in cui credi, invece di spiegare a me che avrei sbagliato a uscire?”. “Io non sono mai stato in un partito, e non intendo iniziare ora”, mi risponde il mio amico. Beh, allora è tutto chiaro. Com’era? “Si sa che la gente dà buoni consigli, se non può più dare cattivo esempio”.

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