La chiamano “crisi”, ma è solo disuguaglianza

La chiamano crisi perché è più comodo. Nei fatti, è solo un nome da dare a un fenomeno antico, che però col suo appellativo tradizionale fa più impressione e per questo con quello non viene chiamato: disuguaglianza. Chiamarlo crisi serve a dargli un’immagine più accettabile, quasi ineluttabile, come una tragedia, una sciagura imprevedibile, ma è la continuazione dell’ingiustizia sociale con altre parole.

Proviamo a guardarla in modo diverso. Quando si affacciò agli onori della cronaca, questa crisi parve una questione di titoli azionari e prodotti finanziari. Come se dovesse riguardare solo chi in questi aveva investito i propri capitali per guadagnare con rendimenti al di là della fisica, e pure della matematica. Che poi, non è che non fosse così; è solo che quelli che i soldi ce li hanno, i ricchi, di solito non hanno alcuna voglia di perderli, e se e quando capita, di solito, si rifanno su chi ne ha pochi, i poveri, che, seppur con il loro poco, sono in tanti, e, come si dice, “è la somma che fa il totale”, giusto?

Bene, o male, fate voi, in questi anni i ricchi sono diventati sempre più ricchi. I poveri, invece, sempre di più e sempre più tali. Il ceto medio, infine, non esiste più per come lo abbiamo conosciuto fin qui: si è separato, disgregato, frantumato in mille rivoli e situazioni diverse e differenti. Volendo semplificare, si potrebbe polarizzare la sua attuale distribuzione in due macrocategorie. Da un lato, uno “medio-alto”, che se è lontano dall’empireo dei veri ricchi, gode di sicurezze e comodità che, pur nella temperie delle complicazioni di questi anni, hanno retto, quando non si sono addirittura rafforzate. Dall’altro, uno “medio-basso” che, per effetto degli stravolgimenti di sistema e come diretta conseguenza di politiche rigorosamente finalizzate a renderli meno sicuri e più precari, vede sempre più da vicino il baratro della misera, tanto che s’è dovuto inventare per una parola, working poor, per descrivere quelli che disoccupati non sono, ma agiati nemmeno; si dividono fra uno o più lavori, impiegano in questi le loro competenze e le loro capacità, sottraggono così tempo ad altre cose, ma non traggono dal loro fare quanto “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, ché c’avremmo ancora una Costituzione.

Come vedete, è solo disuguaglianza e ingiustizia sociale. E se vi state chiedendo per quale motivo, allora, continuino a chiamarla “crisi”, la risposta è semplice, anche se a molti potrebbe non piacere: perché se gli dai quel nome, i più si convincono che, prima o poi, sia destinata a finire.

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