Una tristezza illuminante

Quello che è accaduto in questi giorni è davvero di una tristezza infinita. Ricapitoliamo, la Commissione antimafia e la sua presidenza sono state investite, da parte del Parlamento e all’unanimità, di una funzione di analisi preventiva, cioè da farsi prima del voto ma evidentemente dopo la presentazione delle liste, del curriculum giudiziario dei candidati e delle possibili, o probabili, fate voi, ombre. Votata la norma, tutti, proprio tutti, l’hanno celebrata come una dimostrazione della volontà della politica di rendere i propri percorsi trasparenti e lineari.

Accade così che, stante quella regola, la Commissione provi davvero a fare l’elenco di quei candidati che, come dire, proprio tanto in regola non sono. E comincia a spulciarne le liste, che sono tante, e arriva a dare i nomi a poche ore dal voto. Apriti cielo: i colpevoli non sono quelli che tali candidature hanno fatto o non hanno, potendolo, impedito, ma della Bindi, che le ha infilate nella lista dell’organo che presiede. Di grazia, e che avrebbe dovuto fare? Tacere? Dire “oh, ragazzi, la norma l’abbiamo fatta, come la ‘legge Severino’, ci siamo congratulati fra di noi per come siamo stati bravi, ma, insomma, non è che ce la possiamo davvero permettere tanta libertà, dai, non scherziamo”?

Perché è questo quello che si legge nelle dichiarazioni al vetriolo contro la presidente della Commissione antimafia da parte di personaggi renziani e renzisti (d’una solerzia in servitù tanto avvilente che nemmeno Renzi si merita, peraltro), che parlano di un “ritorno ai processi di piazza” (ci sarebbe da eccepire che, nel caso, non si vuole processarli in strada, al massimo evitare di promuoverli al palazzo) o addirittura di “istituzioni usate per ripicca personale” (argomento che scopre il lato emozionale con cui la nuova classe dirigente intende il proprio ruolo di governo). Sembra che tutti dicano: “sì, va bene, forse ci sono candidati che sarebbe stato meglio non candidare, però ora bisogna votare, e vincere, non è che ci si può attardare sulla forma”.

Ancora più triste è la considerazione del fatto che molti, anche fra la sedicente opposizione interna al presidente del Consiglio, quasi accusano la presidente di aver così fornito un alibi al segretario, più o meno riprendendo la vignetta di Giannelli, oggi sul Corriere, in cui c’è un Renzi tranquillo perché tanto “se vanno bene le regionali è merito mio, se vanno male è colpa della Bindi”. È più mesta come posizione, perché è una resa culturale all’unico valore rimasto in piedi e riconosciuto da quelli che si occupano di fare politica a livello istituzionale e di partito: la vittoria.

Per farla breve: o le regole di trasparenza e legalità sono necessarie, e allora si applicano al di là delle possibili conseguenze, oppure vanno bene solo se non danneggiano noi e i nostri amici, e in quel caso, però, ha vinto l’ideologia dominante del berlusconismo, quella in cui solamente il consenso (che poi altro non è che la legge del più forte tradotta in numeri) dà accesso alla verità e alla ragione.

C’è infine un ulteriore argomento da prendere in esame. Tentando di sostenere la tesi per cui la presidenza di turno avrebbe utilizzato la Commissione antimafia per “vendetta politica”, si sostiene che quell’istituzione sia utilizzabile a tale scopo. Nei fatti, la si delegittima. E non solo in questo caso, perché la delegittimazione di oggi varrà sempre, dato che punta a dimostrare che la quello è un organo di parte, parziale e partigiano.

Sembra un’eresia, eppure è quello che dicono i vertici del maggior partito di governo e del Governo stesso. Ora, però, il pensiero delle Serracchiani e delle Piecierno, degli Ofini e dei Carbone su questo punto è emblematico. Pensate, infatti, alle future e possibili inchieste che uno strumento come quella commissione, nelle loro affermazioni equiparata a un retrobottega di corrente partitica, potrebbe fare o a quelle condotte in passato, consideratene la materia e l’importanza, e poi giudicate se una classe dirigente può consentirsi simile leggerezza nelle affermazioni. O se possiamo noi consentirci una classe dirigente tanto leggera.

E valutate di conseguenza come regolarvi. Buon voto.

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